giovedì 17 dicembre 2020
Da qualche settimana, attaccato alla testiera del mio letto, c'è una novità. Uno di quei microfoni che si usano nelle culle dei neonati, per poterli sentire anche se i genitori si trovano in un'altra stanza, attraverso un semplice ricevitore. Niente di ipertecnologico né di sconvolgente, solo qualcosa di semplice e di estremamente pratico visto che, da quando la Sla mi ha rubato anche la voce, stando a letto i miei mugolii per richiamare attenzione (per mille motivi, un piede storto, una mano dolente...) vengono sentiti con molta difficoltà, per usare un eufemismo. Certo, devo confessare che ogni volta che mi giro a guardare quel microfono bianco e vedo il logo di una nota marca di prodotti per la prima infanzia, mi viene da ridere, non essendo esattamente un neonato. Ma la cosa importante è che l'attrezzo il suo compito lo svolge egregiamente. Ed è, come sempre, l'unica cosa che davvero conta. Certo, c'è ancora qualcosa da mettere a punto, visto che per esempio anche un colpo di tosse, uno starnuto o un singhiozzo finiscono spesso, a causa della distorsione causata dall'amplificatore, per essere scambiati per richiami, nell'indistinta gutturalità che produco. Ma piano piano le cose si aggiusteranno, spero presto. Ad avere l'idea di utilizzare questo sistema è stata mia figlia Camilla, che come e forse più della sorella maggiore (forse più, in quanto rispetto a Giulia, che ormai vive per conto suo, condivide la pesantezza di una quotidianità che spinge inevitabilmente ad aguzzare l'ingegno) pare essersi specializzata nel trovare soluzioni per semplificare la vita con una creatività sorprendente, un po' come il mister Wolf di Pulp fiction, quello che "risolve problemi". Così adesso, la mia regressione posso dire che è completa. Mi lavano, mi vestono, mi imboccano quando mangio, mi girano e rigirano nel letto, mi tirano su e giù... Adesso ho pure il microfono per essere sentito a distanza, anche se i miei non sono propriamente vagiti. In fondo – mi capita spesso di pensare – avere la Sla è un po' come tornare bambini. Anzi, direi che ti fa proprio tornare come quando eri piccolo, bisognoso di tutto, e dipendente in tutto e per tutto da chi ti è vicino. Ma – mi chiedo – chi non ha nessuno come fa? Come può andare avanti? Capisco la disperazione di chi non ha attorno questo amore a sostenerlo. Vorrei che fosse condivisibile, ma non lo è. Purtroppo.
(44-Avvenire.it/rubriche/Slalom)
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