Basta retorica del dolore. Nessun disabile è escluso
sabato 4 dicembre 2021

La prima volta che sono andato a Lourdes come barelliere era il 1971, avevo sedici anni, e con me c'erano gli amici del noviziato scout del nostro gruppo, otto persone in tutto. Salii sul Treno Bianco con la mia inseparabile chitarra, ma appena ci mettemmo a cantare arrivò un dirigente dell'Unitalsi che, molto gentilmente, ci chiese di smettere: questo, ci disse, è un luogo di dolore, e va rispettato. Smettemmo, e la mia chitarra restò nella sua custodia per otto giorni. Fu quello il mio incontro con quella "retorica della sofferenza" che, cinquanta anni fa, ancora avvolgeva nella Chiesa il mondo della disabilità e della malattia, trattando, di fatto, le persone che vivevano in quel mondo, che già pativano una drammatica esclusione sociale, quasi un corpo separato anche dalla comunità ecclesiale. Poi arrivò Papa Wojtyla, e tutto mutò. Un cambio non solo nelle parole ma soprattutto nei gesti. In tutte le cerimonie voleva che un posto privilegiato fosse riservato a disabili e ammalati, e in tutti i suoi viaggi, in Italia e all'estero, riservava a essi un incontro specifico. Quando era in mezzo a loro, si fermava a salutare tutti, a parlare con ciascuno, e perdeva la nozione del tempo, cosa che lo portava sempre a "sforare" la sua agenda. Al punto che nei suoi viaggi, in cui a volte erano previsti dieci discorsi in un giorno, questi incontri venivano quasi sempre programmati a fine giornata. Per non parlare di come Giovanni Paolo II visse la sua malattia, una lezione impossibile da dimenticare.

I suoi successori hanno continuato con lo stesso passo, e la retorica della sofferenza è un retaggio del passato, o quasi. Perché «la Chiesa – ha ribadito Papa Francesco in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità – è la vostra casa! Noi, tutti insieme, siamo Chiesa perché Gesù ha scelto di essere nostro amico. Essa "non è una comunità di ma di discepoli in cammino, che seguono il Signore, bisognosi del suo amore"... [un popolo in cui] tutti sono protagonisti, nessuno può essere considerato semplice comparsa». Perché nella vita della Chiesa «la peggiore discriminazione è la mancanza di attenzione spirituale, che a volte si è manifestata nel diniego di accedere ai Sacramenti, sperimentato purtroppo da alcuni di voi. Il Magistero è molto chiaro in merito... il Direttorio per la Catechesi ha affermato in maniera esplicita che nessuno può rifiutare i Sacramenti alle persone con disabilità... Di fronte alle discriminazioni, è proprio l'amicizia di Gesù, che tutti riceviamo come dono immeritato, che ci riscatta e ci permette di vivere le differenze come ricchezza». «So che alcuni di voi – ha aggiunto Francesco – vivono condizioni di estrema fragilità.

Ma vorrei rivolgermi proprio a voi, magari chiedendo – dove ce ne fosse la necessità – ai vostri familiari o a chi vi è più vicino di leggere queste mie parole, e chiedervi di pregare. Il Signore ascolta con attenzione la preghiera di chi confida in Lui... Gesù ascolta chi si rivolge a Lui anche in maniera apparentemente inadeguata, magari solo attraverso un gesto o un grido. Nella preghiera c'è una missione accessibile a ognuno e ve la vorrei affidare in maniera speciale. Non c'è nessuno così fragile da non poter pregare, adorare il Signore, dare gloria al suo Nome santo e intercedere per la salvezza del mondo. Di fronte all'Onnipotente ci scopriamo tutti uguali». Nessuno, ma proprio nessuno, deve sentirsi estraneo.

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