sabato 6 dicembre 2003
Come gli alberi che chiedono/ sulla cima la luce/ e la negano alla radice,/ perché anch'io vivo/ cercando Dio con le parole,/ respingendolo dall'anima? Kikuo Takano era per me un nome giapponese del tutto ignoto fino a quando mi sono capitate tra le mani varie raccolte delle sue poesie tradotte in italiano. Nato nel 1927 nell'isola di Sado, insegnante di matematica, cultore di musica, Takano ha trovato nella poesia la via per esprimere anche la sua fede zen e taoista, pur non ignorando la spiritualità occidentale. Confessava: «Dentro di noi abbiamo senza dubbio uno spazio di assenza dove attendiamo Dio e questo vuoto può essere colmato solo da lui». I versi che abbiamo scelto attestano proprio questa necessità intima della trascendenza che, però, è spesso frustrata e vanificata dal frenetico movimento esteriore della vita contemporanea. Non di rado, infatti, apparentemente abbiamo il nome di Dio sulle labbra non solo perché lo preghiamo forse ogni giorno ma anche perché nel momento del bisogno, della prova, della sofferenza ci aggrappiamo a lui per avere un aiuto o un conforto. Tuttavia in realtà, nelle scelte della nostra vita, noi lo «respingiamo dall'anima». Siamo come gli alberi che anelano alla luce solo sulla cima, mentre le radici sono nell'oscurità della terra. Non riusciamo a varcare la soglia di una religiosità di superficie per penetrare nelle profondità autentiche della fede, quelle che sono situate nell'anima, nella coscienza, nella volontà, nelle decisioni morali. Sono forse solo i bambini - scrive ancora Takano - a mostrarci il cielo di Dio: «Una bambina ha dipinto una scena in cui un carro armato "è pestato da un uomo" - perché lei ha capito la stranezza del mondo. Di sicuro veniva dal cielo. O il cielo veniva da lei? Abbracciandola tenero, ho baciato il cielo».
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