domenica 4 settembre 2005
Nell'intimo del cuore, nel segreto più segreto della felicità, abita l'angoscia" È questo il luogo più caro alla disperazione, quello che essa preferisce tra tutti: essere profondamente dentro alla felicità. Al concetto di angoscia aveva dedicato una delle sue opere: è il filosofo ottocentesco danese Soeren Kierkegaard che oggi abbiamo rievocato attraverso questa riflessione desunta da un altro suo scritto, La malattia mortale.Se scaviamo in profondità nella felicità, troviamo un fondo di inquietudine e di amarezza, se non altro perchè sentiamo che essa non è definitiva. Chi non ricorda, Il sabato del villaggio di Leopardi che scopre nella festa apparentemente spensierata il germe della fatica che la segue di poche ore? È questa la parabola dell'esistenza, del suo limite e della sua fragilità. Ogni piacere reca in sé la stimmata dell'insoddisfazione e, appena svapora, ci lascia nella più comune situazione, quella in cui bisogna tirar avanti con stenti e travagli. C'è un distico nel poema Endimione del poeta inglese John Keats, morto a Roma nel 1821 a soli 26 anni, che meriterebbe di essere meditato: «Il piacere è spesso un visitatore;/ ma è
la sofferenza ad attaccarsi a noi crudelmente e a lungo». È, quindi, necessario non aggrapparsi alle realtà piacevoli come se fossero l'approdo ultimo e sicuro. Esse inebriano ma per un arco di tempo breve, perché al loro interno cova il germe della fine che può esplodere e rivelarsi ben più forte e decisivo. La ricerca della felicità è, certo, legittima, ma fin quando cammineremo per le strade della storia, dobbiamo ricordare che essa non è né eterna né assoluta.
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