venerdì 24 dicembre 2004
Al termine delle strade non c'è la strada ma il traguardo. Al termine della scalata non c'è la scalata ma la sommità. Al termine della notte non c'è la notte ma l'aurora. Al termine dell'inverno non c'è l'inverno ma la primavera. Al termine della morte non c'è la morte ma la vita. Al termine dell'umanità non c'è l'uomo ma l'Uomo-Dio. Al termine dell'avvento non c'è l'avvento ma il Natale. L'attesa non deve sfilacciarsi in un'inquietudine infinita. Come in ogni anno, il Natale è ritornato a indicarci che c'è una meta al nostro cammino. Ce lo ricorda con queste semplici parole, dedicate alla "spiritualità della strada", Joseph Folliet (1903-1972), un francese impegnato nel mondo del lavoro, dei diritti calpestati, della solidarietà, divenuto sacerdote a 65 anni. La frenesia contemporanea ha creato una sorta di insoddisfazione permanente: più hai e più vorresti. E' per questo che non si conosce mai un punto d'arrivo e uno scopo preciso e definitivo, ma si vagabonda senza meta. Il Natale è proprio il segno di un approdo, è quasi l'indicatore di un traguardo non ancora raggiunto ma certo e, come dice Folliet, esso non ha al centro un uomo ma l'Uomo-Dio. E non solo perché appare Cristo, ma anche perché tutte le creature umane sono chiamate ad essere figli di Dio, così che «Dio sia tutto in tutti» (1 Corinzi 15, 28). Anzi, Paolo oserà immaginare un punto finale in cui anche l'intera creazione sarà redenta, godendo della stessa libertà e della stessa gioia dei figli di Dio. «Al termine della morte non c'è la morte ma la vita». E' questo l'augurio del Natale a ogni persona, soprattutto a chi è scoraggiato e deluso.
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