Al telefono Manacorda interrompe la lunga fuga dal maestro Pasolini
venerdì 18 aprile 2014
Giorgio Manacorda ha pubblicato da Voland un suo singolare racconto, Pasolini a Villa Ada. In qualche decina di pagine l'autore racconta o inventa una telefonata con Renzo Paris il quale, implacabile rievocatore degli anni Sessanta e Settanta a Roma, vuole assolutamente sapere (e non molla la presa) come fu che Manacorda conobbe Pasolini nel '63, che amicizia fu la loro, che cosa pensava il già famoso scrittore degli altri scrittori. A sua volta Manacorda non cede. Per lui su Pasolini c'è poco da dire. È vissuto come un martire della poesia, ma forse non era un grande poeta. Forse la sua fama si svuoterà come quella di D'Annunzio. In questa conversazione fra due scrittori nati nei primi anni Quaranta, risulta che Pasolini a Roma è ancora dovunque: non solo a Villa Ada, ma a Monteverde, a Testaccio, al Colosseo, a Campo de' Fiori, sulla Tuscolana, all'Eur: tra Moravia, Bertolucci padre e Bertolucci figlio, Dario Bellezza, Amelia Rosselli, Penna, Morante…Naturalmente non di tutto questo si parla nel racconto. Manacorda, che non è un cronista d'epoca, altrimenti non lo avrebbe scritto. Lo ha scritto perché le petulanti domande dell'amico gli hanno fatto ritrovare in tutta la sua «purezza» (la parola è questa) il Pasolini della sua gioventù, quando lui, appena ventenne, fece leggere timidamente le sue prime poesie al più famoso dei poeti italiani.Ma il dialogo fra Manacorda che fugge da Pasolini e Paris che lo incalza diventa lo psicodramma di una generazione innamorata di padri e fratelli maggiori che ti tolgono il fiato e la voce dopo averti dato accesso alla poesia.Eppure la poesia non se ne è andata. Per Manacorda, che ne ha scritta molta e ora scrive romanzi per Voland, la poesia, come aveva visto Pasolini, era una malattia vera, una verità malata che andava detta, una cura che non guarisce. Per questo Manacorda è stato forse il critico di poesia più incontentabile e beffardo della sua generazione. È nato alla poesia con l'assenso di Pasolini e non si è rassegnato a quello che ha visto dopo. Non si è neppure rassegnato a se stesso, pur avendo scritto su Pasolini i versi più belli che io abbia letto.
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