giovedì 9 giugno 2005
 Le persone religiose parlano di Dio quando la nostra conoscenza è arrivata alla fine e le forze umane vengono a mancare e quel Dio che chiamiamo in causa è come una soluzione fittizia a problemi insolubili, una forza davanti al fallimento umano" Io invece vorrei parlare di Dio non ai limiti ma al centro, non nelle debolezze ma nella forza, non in relazione alla morte e alla colpa ma alla vita e bene dell"uomo" La Chiesa non sta lì dove vengono meno le capacità umane, ai limiti, ma sta al centro del villaggio.
Sessant"anni fa, il 9 aprile 1945, il famoso teologo protestante Dietrich Bonhoeffer veniva impiccato, su ordine di Hitler, a soli 39 anni. Rimangono i suoi scritti e la sua testimonianza come quella annotata il 30 aprile di un anno prima, da noi proposta oggi in forma semplificata. Il tema è suggestivo e sferzante: troppo spesso riduciamo Dio a un "tappabuchi" delle nostre necessità e della nostra impotenza. Si ricorre a lui nei casi eccezionali, nella malattia, nei tracolli, nell"ultimo istante di vita.Certo, egli è un Dio che non ci abbandona, è un Dio sofferente e quindi sta al nostro fianco e ci libera. Ma non perché lo riduciamo a comodo sostituto delle nostre incapacità o perché ricorriamo a lui solo nel tempo del pericolo, offrendogli qualche preghiera in un rapporto quasi economico. Egli vuole essere al centro della nostra vita, attraverso un"adesione d"amore, genuina e personale. E anche la Chiesa, corpo di Cristo, certo, si deve collocare sulla frontiera della colpa e della morte, ma dev"essere soprattutto al «centro del villaggio», cioè nella vita, nella festa, nel lavoro, nella speranza.
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