sabato 19 ottobre 2019
All'inizio dello scorso settembre, durante il volo di ritorno dal suo viaggio in Africa, Papa Francesco parlando con i giornalisti ha affrontato senza nascondersi dietro a un dito il problema delle critiche che gli arrivano quasi quotidianamente da parte di alcuni settori della Chiesa – «anche all'interno della Curia». «Sono pillole d'arsenico [che] ti pugnalano da dietro», le ha definite; ma quanto alla possibilità che si possa arrivare a uno scisma ha detto di non avere paura. Perché, ha spiegato, uno scisma è «una situazione elitaria, un'ideologia staccata dalla dottrina». E quanto al merito di quelle critiche, per lo più sollevate ogni volta che affronta temi sociali, ha osservato che «quello che dico io lo diceva Giovanni Paolo II, io copio lui». «Oggi – ha concluso – abbiamo tante scuole di rigidità dentro alla Chiesa, che non sono scisma, ma sono vie cristiane pseudo-scismatiche che finiranno male». E in questo movimento vi sono coinvolti «cristiani, vescovi, sacerdoti rigidi, vuol dire che dietro ci sono dei problemi. Non c'è la sanità del Vangelo. Per questo dobbiamo essere miti con le persone che sono tentate da questi attacchi, stanno passando un problema, dobbiamo accompagnarli con mitezza».
Più chiaro di così, Francesco, non avrebbe potuto essere. Quell'"io copio da lui", così come in molte altre occasioni aveva detto lo stesso a proposito di Paolo VI e Benedetto XVI, la dice lunga su quanto Bergoglio si senta e si muova in perfetta sintonia con i suoi predecessori (e come, nel suo piccolo, questa rubrica dimostra ogni settimana). Però si sa che non c'è peggior sordo di chi non vuole sentire, e allora, di fronte alla delicatezza della questione, mercoledì scorso è tornato sull'argomento parlando di san Paolo prima della conversione, e sottolineando come occorra guardarsi dall'atteggiamento ideologico di chi, per perseguire la «purità della Chiesa», ha un atteggiamento selettivo e intollerante verso gli altri, anziché Dio adora le «formulazioni dogmatiche», e finisce così per colpire Cristo stesso.
E dunque parlando di Saulo, il nome di Paolo prima della conversione, ha spiegato che «con l'autorizzazione del sommo sacerdote, Saulo dà la caccia ai cristiani e li cattura. Capite bene cosa significa dare la caccia alla gente e catturarla: così faceva Saulo. E lo fa pensando di servire la Legge del Signore». Nelle scritture egli «è ritratto come un intransigente, cioè uno che manifesta intolleranza verso chi la pensa diversamente da sé, assolutizza la propria identità politica o religiosa e riduce l'altro a potenziale nemico da combattere». Insomma, «un ideologo», ha sintetizzato Francesco, per il quale «la religione si era trasformata in ideologia religiosa, ideologia sociale, ideologia politica. Solo dopo essere stato trasformato da Cristo, allora insegnerà che la vera battaglia "non è contro la carne e il sangue, ma contro (…) i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male". Insegnerà che non si devono combattere le persone, ma il male che ispira le loro azioni. La condizione rabbiosa – perché era rabbioso – e conflittuale di Saulo invita ciascuno a interrogarsi: come vivo la mia vita di fede? Vado incontro agli altri oppure sono contro gli altri? Appartengo alla Chiesa universale, buoni cattivi tutti, o ho un ideologia selettiva? Adoro Dio o le formulazioni dogmatiche? Com'è la mia vita religiosa? La fede in Dio che professo mi rende amichevole oppure ostile verso chi è diverso da me?». Domande che dovremmo provare a porci tutti noi ogni giorno. Anche più volte al giorno, anzi, non guasterebbe.
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