lunedì 26 febbraio 2024
Nel refettorio i vecchi comboniani consumavano presto, la sera, un pasto frugale. 2006, Gulu, Uganda, nella terra straziata dalla guerra civile del Lord’s Resistence Army. Un grande disperato campo profughi, e i bambini rapiti e reclutati, mandati a uccidere e a morire. La missione era ai margini della foresta. La notte, che all’Equatore scende rapinosa in pochi minuti, la trasfigurava in una selva fitta di voci di uccelli e animali – appena lì fuori, nel buio. Dormii in una camera con ampie vetrate e non chiusi occhio, attenta a ogni sommesso fiato o fruscio. Pochi anni prima laggiù un missionario era stato ucciso in un agguato. Guardavo la porta della stanza, un legno da niente - una spallata. E invece la sera a tavola quei quattro comboniani italiani, quasi ottantenni, sereni. Pasta, frutta, un bicchiere di vino. Due chiacchiere. Mi chiedevano del Milan, dei piccoli paesi in cui erano nati, di come si stava da noi. Non volevano tornare in patria: la loro casa era l’Africa. Volevano morire lì. Ai margini della foresta ansimante di vita e insidie e nemici, quegli uomini indifesi, in pace. E se, di notte, un tocco alla porta? Avrebbero aperto. Magari un ragazzino affamato. Oppure no: un fucile spianato. Come Dio voleva. Quattro giganti attorno a un tavolo, nella voce ancora le inclinazioni dolci del Veneto, o la quieta pienezza lombarda. © riproduzione riservata
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