Il premierato e l’ostacolo della legge elettorale

April 6, 2024
Nel testo approvato dalla commissione affari costituzionali del Senato, il disegno di legge sul premierato non prevede più il premio di maggioranza pari al 55% dei seggi che tante polemiche aveva sollevato sin dalla presentazione della proposta. I costituenti avevano volutamente evitato di scegliere questo o quel modello elettorale, nonostante all’epoca fosse forte la spinta per codificare il sistema proporzionale, e con lungimiranza avevano lasciato al legislatore ordinario la responsabilità di provvedere tenendo conto delle mutevoli situazioni sociali e politiche. L’idea di cristallizzare oggi nella Carta un riferimento così esplicito, persino in termini numerici, era apparsa subito una forzatura. Così la maggioranza ha deciso rimuoverlo, ma il sistema elettorale è ricomparso nel testo in altra forma. Nell’art. 3 del ddl, infatti, si afferma che la nuova disciplina elettorale dovrà stabilire «un premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio». Non è chiaro, per inciso, come il premio su base nazionale possa conciliarsi con l’art. 57 della Costituzione secondo cui il Senato è eletto su base regionale. Forse i sostenitori del premierato si sarebbero creati molti meno problemi con un richiamo di principio alla governabilità, tanto più che il tema della legge elettorale è stato rinviato alla fase successiva alla prima deliberazione del Parlamento, stando alle dichiarazioni del ministro Casellati. Una tempistica criticata dall’opposizione – ma anche da alcuni settori della coalizione di governo – perché è a dir poco problematico valutare una riforma tutta incentrata sull’elezione diretta del premier senza conoscere in parallelo le modalità di tale elezione. Come se contasse solo l’investitura popolare del premier e quanto al resto... l’intendance suivra, per dirla con De Gaulle (e con Napoleone). Nella storia della Repubblica i precedenti del premio di maggioranza a livello nazionale non sono entusiasmanti. A cominciare dalla legge voluta da De Gasperi nel 1953 in cui il premio scattava oltre la soglia del 50%, obiettivo mancato sia pure per pochissimi voti. Mezzo secolo dopo toccò al Porcellum del leghista Calderoli, applicato nelle elezioni del 2006, del 2008 e del 2013, prima di essere bocciato dalla Corte costituzionale. Qui la mancanza di una soglia minima (altro che il 50% di De Gasperi) consentiva un premio in seggi potenzialmente abnorme, soprattutto nel caso di un esito a tre poli, come avvenne nel 2013 con l’exploit del M5S. Il centro-sinistra con poco più del 29% ottenne la maggioranza dei seggi, ma solo alla Camera. Al Senato, con il premio assegnato su base regionale per il vincolo dell’art. 57, nessuno arrivò al traguardo. E da quel momento è iniziato un avvitamento del sistema che scontiamo ancora oggi. La lezione del voto del 2013 dovrebbe indurre senza incertezze a prevedere il ballottaggio qualora nessuna coalizione raggiungesse una soglia ragionevole di voti. Almeno il 40%, estrapolando la giurisprudenza costituzionale sul tema. Ma nel caso del premierato si tratterebbe di eleggere non un’assemblea rappresentativa quanto un organo monocratico dotato in teoria di amplissimi poteri. E non sarebbe opportuno, anzi, necessario, che questo avvenisse con la maggioranza assoluta dei voti? © riproduzione riservata

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