Casini: «Da religioni stimolo alla pace. Non è tempo per essere timidi»

Il senatore: il dialogo tra fedi è una necessità. Da Netanyahu atti scellerati, ma più ferma è la loro condanna, più netto è impegno contro l'antisemitismo. Da Meloni troppa timidezza
August 30, 2025
Casini: «Da religioni stimolo alla pace. Non è tempo per essere timidi»
IMAGOECONOMICA | Pier Ferdinando Casini, ex presidente della Camera
Il dialogo fra le religioni è «una necessità» per stimolare la pace. Così come serve «non essere timidi» in questi tempi nuovi, che risuonano di guerre nel mondo. Essere “tiepidi” è inutile: occorre fermezza davanti a Putin che «ha preso in giro tutti» e davanti alle «scelleratezze» di Netanyahu a Gaza. Sono le convinzioni di Pier Ferdinando Casini, senatore eletto come indipendente nelle liste Pd ed ex presidente della Camera.
Senatore Casini, questo documento fra le religioni può rappresentare uno stimolo alla pace?
Sì. Evidentemente dall’incontro di Assisi 1986 il tempo non è trascorso invano: il dialogo interreligioso non è un’opzione, è una necessità. Nel mondo si è tornati a combattere guerre senza senso. Lo spirito che oggi aleggia nel mondo è inquietante, riprova ne è l’intenzione del presidente Usa Trump di cambiar nome al ministero della Difesa ripristinando la dizione “della Guerra”, non solo grave, ma indicativa di un clima. Per questo giova ribadire che nessuna guerra si combatte nel nome di Dio, qualunque Dio. A giugno scorso alla Camera abbiamo tenuto un importante meeting interparlamentare, dove i leader delle principali religioni sono venuti ad affermare che occorre evitare che le religioni siano utilizzate come fattore divisivo, perché oggi non lo sono.
E questo cosa significa poi, nel concreto?
Significa che davanti al dramma senza fine di Gaza e alle politiche scellerate di Netanyahu, che vuole allontanare tutti i nostri sogni di “due popoli, due Stati” e distruggere i piani di convivenza, non ci può esser spazio per alcun fraintendimento: bisogna condannare atti, sempre più gravi, che ci riportano alle barbarie di una storia che pensavamo di non vedere più. Anche la critica più dura, il biasimo più netto di queste iniziative guerrafondaie non può sfociare però in discriminazioni religiose o razziali. Questo vuol dire che più ferma sarà la nostra condanna di questi atti contro l’umanità, più fermo sarà il nostro impegno contro l’antisemitismo.
Si discute molto di una linea che sarebbe poco incisiva del governo italiano.
L’Italia, e quindi la premier Meloni, stanno dicendo cose giuste, però con un eccesso di timidezza. Non si può essere troppo timidi nel mondo dei “forti”, è necessario uno scatto in avanti. La revoca decisa da Trump dei visti a esponenti palestinesi in vista dell’assemblea Onu, a esempio, è assolutamente inaccettabile, non ci possono essere mezze misure nel condannarla.
Quale può essere questo scatto da realizzare?
Paesi come la Francia e la Gran Bretagna si sono impegnati per il riconoscimento della Palestina come Stato. Macron forse lo fa per protagonismo, si dice, ma non faccio il processo alle intenzioni. Contano i fatti. Anche io auspico il riconoscimento, da tempo. E a chi obietta che questa mossa si limita a una prevalente simbologia fine a se stessa replico che è sempre meglio dell’alternativa di limitarsi a declamare impegni e poi basta. Sono convinto che la Meloni, che sull’Ucraina sta tenendo una postura apprezzabile, sia stretta fra le sue convinzioni personali e il desiderio di non fare un torto a Trump. In questa fase storica, però, qualche dispiacere a questo alleato è necessario darlo.
E sull’Ucraina lo scatto in cosa può consistere?
Putin ha preso in giro tutti, ormai è chiaro. Le responsabilità non sono certo uguali fra russi e ucraini. Per questo continuare ad aiutare l’Ucraina vuol dire far finire prima la guerra, non allungarla. E, in caso di tregua, penso serva anche il dispiegamento di forze sul campo, come deterrenza.
Però l’Europa è sempre più irrilevante, come ha detto giorni fa Mario Draghi?
Stiamo sempre lì, l’Europa sconta il fatto che non è uno Stato-potenza, ma un insieme di Stati. Abbiamo un deficit di rilevanza, sì, ma il problema non è Ursula von der Leyen, chiunque al suo posto non potrebbe fare molto di più. Sono anche d’accordo con la premier nel dire che l’Europa deve fare meno cose, ma su queste poche cose è ora di costruire una vera Europa federale. A partire dal superamento dell’unanimità nelle decisioni a 27: più tempo si spreca nel non superarla, più l’Ue resta ai margini. La debolezza è non assumere un’iniziativa immediata in tal senso. Faccio notare, poi, che coloro che si lamentano dell’inconsistenza europea sono gli stessi che la paralizzano, a partire dall’Ungheria.
Non è anche un problema di debolezza dei leader europei, come evidenziato nel recente incontro a Washington?
Concordo. Però ognuno è figlio dei tempi che viviamo, insistere su questo elemento fa parte della politica delle lamentele e delle nostalgie, che non porta frutto. Come diceva Aldo Moro, “se fosse possibile saltare questo tempo e andare direttamente a questo domani, tutti accetteremmo di farlo. Ma non è possibile, oggi dobbiamo vivere la nostra responsabilità”.
Non crede quindi a vere prospettive di pace sull’Ucraina?
Purtroppo non ne vedo assolutamente, al momento. Trump è stato gratificato nel suo egocentrismo, ma l’unico risultato è stato quello di perdere tempo. I vertici servono soprattutto a Putin per fiaccare gli ucraini, amplificare le divergenze nel fronte dei sostenitori di Kiev e intanto prendere più territori. D’altronde uno che invita Zelensky a Mosca è autore di una provocazione che anche un bambino può comprendere. Si tratta se ci si siede a un tavolo. Bisogna quindi insistere perché Putin si convinca che deve trattare pure lui.
Per chiudere cambiamo argomento. Come vede oggi il barometro della situazione dei cattolici in politica, dopo le parole della Meloni a Rimini?
Dico solo che mi fa piacere che papa Leone abbia rinnovato in più occasioni la sua attenzione ai cattolici impegnati. È il segno che si guarda alla politica non come a qualcosa da evitare, si vuole ravvivare questa fiamma nel rispetto di quella separazione tra fede e impegno pubblico che spesso sono difficilmente distinguibili. Certo, non c’è più il partito unitario dei cattolici, esiste una pluralità di opzioni, l’importante è che siano alimentate. E forse è questo che fa paura a molti.

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