Almasri, archiviata la posizione di Meloni. Ministri a rischio processo
Per i titolari della Giustizia e dell'Interno, Nordio e Piantedosi, e per il sottosegretario Mantovano, sarà richiesta l'autorizzazione a procedere. La premier: «Assurdo, scelte concordate»

L’annuncio arriva a sorpresa, a ridosso dei tg delle 20, a firma della stessa presidente del Consiglio. «Oggi mi è stato notificato il provvedimento dal Tribunale dei ministri per il caso Almasri - inizia Giorgia Meloni, in un messaggio postato sul suo canale social di X - dopo oltre sei mesi dal suo avvio, rispetto ai tre mesi previsti dalla legge, e dopo ingiustificabili fughe di notizie». Poi, la notizia vera e propria: «I giudici hanno archiviato la mia sola posizione», mentre «dal decreto desumo che verrà chiesta l’autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Piantedosi e Nordio e del sottosegretario Mantovano».
Dunque, a leggere la dichiarazione della premier, è arrivata l’attesa decisione del Tribunale dei ministri dopo la chiusura dell’indagine sul caso di Osama Najim Almasri, alto ufficiale libico arrestato dalla Digos nella notte fra sabato 18 e domenica 19 gennaio a Torino su mandato della Corte penale internazionale per omicidio, tortura e altri crimini contro l’umanità, ma poi rilasciato e riportato a Tripoli con un aereo di Stato. Un procedimento che - oltre alla premier - vede il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano con i titolari di Giustizia e Interno, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, accusati di favoreggiamento e peculato, Nordio anche di omissione d’atti d’ufficio. E ora, secondo quanto lascia intendere Meloni, la sua posizione sarebbe stata archiviata mentre per gli altri tre potrebbe aprirsi la prospettiva di un rinvio a giudizio, previa richiesta di autorizzazione a procedere.
Meloni: io non informata? Assurdo, il governo è coeso
Perché le quattro posizioni sarebbero state differenziate dale tre magistrate del Tribunale dei ministri? Secondo quanto annota la premier, «nel decreto si sostiene che io “non sia stata preventivamente informata e (non) abbia condiviso la decisione assunta”. In tal modo non avrei rafforzato “il programma criminoso”». Pertanto, prosegue, «si sostiene che due autorevoli Ministri e il sottosegretario da me delegato all’intelligence abbiano agito su una vicenda così seria senza aver condiviso con me le decisioni assunte». Meloni respinge una tale ricostruzione, perché è «una tesi palesemente assurda». A differenza «di qualche mio predecessore, che ha preso le distanze da un suo ministro in situazioni similari», la premier rivendica «che questo Governo agisce in modo coeso sotto la mia guida: ogni scelta, soprattutto così importante, è concordata» ed è «quindi assurdo chiedere che vadano a giudizio Piantedosi, Nordio e Mantovano, e non anche io, prima di loro». Una frecciata scoccata di riflesso verso Giuseppe Conte per gli screzi con Matteo Salvini, suo ministro dell’Interno nell’esecutivo gialloverde. Il leader leghista, non a caso, chiosa più tardi sui social: «Alla faccia dei “non ricordo” degli smemorati Conte e Toninelli sugli sbarchi dei clandestini, avanti insieme e a testa alta». A conclusione del messaggio, la presidente del Consiglio ribadisce «la correttezza dell’operato dell’intero Esecutivo, che ha avuto come sola bussola la tutela della sicurezza degli italiani». Meloni ricorda di averlo detto pubblicamente subito dopo aver avuto notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati. E anticipa che lo ribadirà «in Parlamento, sedendomi accanto a Piantedosi, Nordio e Mantovano al momento del voto sull’autorizzazione a procedere». Un procedimento di cui ancora non si può ipotizzare la data di avvio, dato che - sempre in serata - il presidente della Giunta delle autorizzazioni della Camera Devis Dori (Avs) fa sapere che almeno finora non è pervenuta nessuna carta relativa al dossier Almasri da parte del Tribunale dei ministri.
Il pressing delle opposizioni
Da mesi, oltre che giudiziario, il caso è divenuto politico, con le opposizioni che incalzano l’esecutivo, chiedendo a più riprese di riferire alle Camere. La tensione è salita a inizio luglio quando si è appreso che il lavoro del Tribunale dei ministri era al termine e che dunque presto sarebbe potuta arrivare una richiesta di rinvio a giudizio per uno o più esponenti del Governo. Inoltre, le rivelazioni pubblicate da alcuni quotidiani rispetto al contenuto degli atti di indagine (fra cui una mail interna che farebbe supporre come il dicastero del ministro Nordio fosse a conoscenza della richiesta della Corte penale internazionale già domenica 19 e non lunedì 20 gennaio, come da lui dichiarato in Parlamento) hanno contribuito ad arroventare il clima politico. Ora, dopo l’annuncio della premier, le forze di opposizione tornano a tuonare, chiedendo «che la giustizia faccia il suo corso» e ritenendo «inutile» che Meloni, attacca il parlamentare di Avs Nicola Fratoianni, «lo annunci con stizza, assumendo su di sé ogni responsabilità, sfidando chi è alla ricerca della verità e quasi invocando l’impunita’ per i suoi ministri».
Dunque, a leggere la dichiarazione della premier, è arrivata l’attesa decisione del Tribunale dei ministri dopo la chiusura dell’indagine sul caso di Osama Najim Almasri, alto ufficiale libico arrestato dalla Digos nella notte fra sabato 18 e domenica 19 gennaio a Torino su mandato della Corte penale internazionale per omicidio, tortura e altri crimini contro l’umanità, ma poi rilasciato e riportato a Tripoli con un aereo di Stato. Un procedimento che - oltre alla premier - vede il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano con i titolari di Giustizia e Interno, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, accusati di favoreggiamento e peculato, Nordio anche di omissione d’atti d’ufficio. E ora, secondo quanto lascia intendere Meloni, la sua posizione sarebbe stata archiviata mentre per gli altri tre potrebbe aprirsi la prospettiva di un rinvio a giudizio, previa richiesta di autorizzazione a procedere.
Meloni: io non informata? Assurdo, il governo è coeso
Perché le quattro posizioni sarebbero state differenziate dale tre magistrate del Tribunale dei ministri? Secondo quanto annota la premier, «nel decreto si sostiene che io “non sia stata preventivamente informata e (non) abbia condiviso la decisione assunta”. In tal modo non avrei rafforzato “il programma criminoso”». Pertanto, prosegue, «si sostiene che due autorevoli Ministri e il sottosegretario da me delegato all’intelligence abbiano agito su una vicenda così seria senza aver condiviso con me le decisioni assunte». Meloni respinge una tale ricostruzione, perché è «una tesi palesemente assurda». A differenza «di qualche mio predecessore, che ha preso le distanze da un suo ministro in situazioni similari», la premier rivendica «che questo Governo agisce in modo coeso sotto la mia guida: ogni scelta, soprattutto così importante, è concordata» ed è «quindi assurdo chiedere che vadano a giudizio Piantedosi, Nordio e Mantovano, e non anche io, prima di loro». Una frecciata scoccata di riflesso verso Giuseppe Conte per gli screzi con Matteo Salvini, suo ministro dell’Interno nell’esecutivo gialloverde. Il leader leghista, non a caso, chiosa più tardi sui social: «Alla faccia dei “non ricordo” degli smemorati Conte e Toninelli sugli sbarchi dei clandestini, avanti insieme e a testa alta». A conclusione del messaggio, la presidente del Consiglio ribadisce «la correttezza dell’operato dell’intero Esecutivo, che ha avuto come sola bussola la tutela della sicurezza degli italiani». Meloni ricorda di averlo detto pubblicamente subito dopo aver avuto notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati. E anticipa che lo ribadirà «in Parlamento, sedendomi accanto a Piantedosi, Nordio e Mantovano al momento del voto sull’autorizzazione a procedere». Un procedimento di cui ancora non si può ipotizzare la data di avvio, dato che - sempre in serata - il presidente della Giunta delle autorizzazioni della Camera Devis Dori (Avs) fa sapere che almeno finora non è pervenuta nessuna carta relativa al dossier Almasri da parte del Tribunale dei ministri.
Il pressing delle opposizioni
Da mesi, oltre che giudiziario, il caso è divenuto politico, con le opposizioni che incalzano l’esecutivo, chiedendo a più riprese di riferire alle Camere. La tensione è salita a inizio luglio quando si è appreso che il lavoro del Tribunale dei ministri era al termine e che dunque presto sarebbe potuta arrivare una richiesta di rinvio a giudizio per uno o più esponenti del Governo. Inoltre, le rivelazioni pubblicate da alcuni quotidiani rispetto al contenuto degli atti di indagine (fra cui una mail interna che farebbe supporre come il dicastero del ministro Nordio fosse a conoscenza della richiesta della Corte penale internazionale già domenica 19 e non lunedì 20 gennaio, come da lui dichiarato in Parlamento) hanno contribuito ad arroventare il clima politico. Ora, dopo l’annuncio della premier, le forze di opposizione tornano a tuonare, chiedendo «che la giustizia faccia il suo corso» e ritenendo «inutile» che Meloni, attacca il parlamentare di Avs Nicola Fratoianni, «lo annunci con stizza, assumendo su di sé ogni responsabilità, sfidando chi è alla ricerca della verità e quasi invocando l’impunita’ per i suoi ministri».
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