Guardo il mio Vesuvio assediato dalle case. E penso...
sabato 9 giugno 2018

Penso al mio Vesuvio. La natura non avrebbe potuto regalare sfondo più bello al mare che bagna Napoli e i napoletani. Un gigante che nelle giornate di sole ti riconcilia con la vita, un amico della nostra gente e dei turisti. Goethe ne era innamorato.

Penso al mio Vesuvio in questi giorni in cui, in Guatemala, il Volcan de Fuego ha fatto una strage, sputando fuoco, fumo, cenere, lapilli, veleni. Perché quel vulcano si è fatto così cattivo? Perché ha travolto e annientato centinaia di persone? Non ha guardato in faccia a nessuno, non ha provato pietà nemmeno per i bambini, i vecchi, gli ammalati. Una montagna senza cuore. Una forza immane, spaventosa contro la quale era inutile tentare di resistere. E noi ancora a fare i conti con la sofferenza, il male, la morte. Che strana la nostra vita. Così preziosa eppure tanto fragile, ci appartiene e non ci appartiene, è nostra e non è nostra.
«La creazione stessa è stata sottomessa alla caducità e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla corruzione», scrive san Paolo.

Il mare è stupendo e insidioso; i fiumi che scendono a valle portano vita e morte. Davanti alla forza cieca e sorda della natura dobbiamo inchinarci. È una forza irresponsabile, va per conto proprio. Alla natura non importa l’ uomo, le sue paure, la sua vita. Guai a divinizzarla, a farle “dire” cose che non ha mai detto, a guardarla solo con occhi romantici. Guai a maltrattarla, saccheggiarla. La natura non è buona né cattiva, non è intelligente, non ha la grazia di avere un cuore.

Risponde a leggi che le sono proprie. È sugli uomini che incombe l’obbligo di studiarla, comprenderla, assecondarla. Davanti a una montagna di fuoco e cenere che, impietosa, si riversa sui poveri abitanti, le domande sono tante, le stesse che si posero gli abitanti di Ercolano e di Pompei travolti dal Vesuvio duemila anni fa. Sono le stesse domande che ci poniamo noi quando il terremoto trasforma le case in tombe. Sono le domande degli uomini di tutti i tempi. È proprio in momenti come questi che ci accorgiamo di essere più fragili e importanti di quanto abbiamo voluto credere. Un mistero a noi stessi. Un mistero, però, che può essere avvicinato, indagato. Un mistero capace non di risolvere, ma di attenuare, tante volte evitare, il dramma della sofferenza. Un mistero che ci invita a essere prudenti, previdenti, solidali, amabili.

Penso alla mia Napoli e al gigante che la sovrasta e la inorgoglisce. Non è morto, non è in coma, non dorme, solo sonnecchia. Sono passati 74 anni dall’ultima volta che si svegliò. Una cosa leggera eppure furono giorni terribili per coloro che affollavano le sue pendici. Se per la distruzione di Ercolano e Pompei ci dobbiamo accontentare della testimonianza di Plinio il giovane e degli scavi archeologici, di questa ultima eruzione abbiamo i filmati realizzati dai soldati americani. Mi ha sempre affascinato l’uomo, la sua intelligenza, il suo estro, la sua stupidità; il suo altruismo, la sua miseria; la sua spietatezza, la sua capacità di amare. L’uomo, unico miracolo della creazione plasmato a immagine di Dio. Può piacere o no, la terra sulla quale poggiamo i piedi ha un cuore di fuoco; la crosta sulla quale nasciamo a viviamo va soggetta a terremoti e inondazioni; i mari, che ci danno da vivere, portano anche distruzione e morte. Lo sappiamo, ma sappiamo anche arrivare prima per evitare dolorose tragedie. Con umiltà, serietà, intelligenza, altruismo. Fingere di non vedere non è stato mai un bene, rimandare a chi viene dopo le decisioni che incombono oggi su di noi può essere pericoloso.

Le immagini del Volcan De Fuego sono terrificanti. Non oso immaginare il terrore di chi stava in quella zona e si è salvato e, ancor più, di chi sotto quel tormento ha perso la vita. Penso al mio Vesuvio e alle abitazioni che arrivano a lambire le sue fauci. Era proprio necessario spingersi fin lassù? Questa montagna stupenda e pericolosa ancora non ci ha insegnato niente? Abbiamo il coraggio, oggi, di guardare in faccia la realtà e arrivare prima della distruzione? La natura ha le sue leggi, che dobbiamo conoscere, studiare, assecondare, evitare si subire, a patto di non fare i gradassi, di non ergerci a superuomini. Inutile gridare al fatalismo quando non abbiamo fatto il nostro dovere. Un abbraccio grande ai fratelli e alle sorelle del Guatemala.

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