Tregua per una "pace giusta": la vera urgenza è salvare vite
venerdì 28 luglio 2023

Siamo rimasti impressionati dai buchi prodotti dalla grandine nei cappotti termici di polistirolo delle nostre case. Spaventati per le auto schiantate e le persone uccise dagli alberi caduti sotto le raffiche di vento. La furia del maltempo e l’infuriare degli incendi ci terrorizzano e paralizzano. Eppure quasi non ci impressionano più le case sventrate dai missili in Ucraina, il fuoco che divampa dopo i bombardamenti, il conflitto che sacrifica uomini, donne e bambini senza far distinzioni, i primi uccisi al fronte, gli altri crudelmente a domicilio. Distratti dai nostri problemi, dalle nostre piccole tragedie, quasi non facciamo più caso alla distruzione che avanza e fa somigliare le città d’Ucraina sempre più alle rovine di Aleppo, ai palazzi bucherellati dai colpi d’artiglieria della Beirut dopo la guerra civile. Un deserto di morte che avanza. Non vengono risparmiate neppure le cattedrali, come a Odessa - e la nostra attenzione si risveglia per qualche minuto. Ma quando si colpisce un’abitazione, un ospedale o si tira centrando un mercato, non è lo stesso, o addirittura peggio? Non si stanno forse profanando così tutti quei piccoli “tabernacoli” che custodiscono la vita – sacra – dei fratelli?

Siamo così assuefatti alla violenza della guerra – oggi al 520esimo giorno – da non rendercene più conto, dando per scontato che sia così e così debba essere, senza alternative se non quelle di registrare un giorno l’avanzamento d’un esercito, l’indomani il suo arretramento, un giorno la vigliacca uccisione di innocenti e l’altro l’amara soddisfazione di una piccola rappresaglia. Sempre più avviluppati in una spirale che non trova fondo. Come in un pessimo film parodia del nazismo qualcuno ipotizza di invadere la Polonia, mentre per davvero si fanno saltare i silos di grano e si sparano missili a 200 metri dal confine di un Paese della Unione Europea: la Romania. A giorni alterni si minaccia il ricorso alle bombe atomiche e intanto si mina il terreno vicino alla centrale nucleare di Zaporizhzhia: come se altre Chernobyl o gli orrori di Hiroshima fossero un prezzo da mettere in conto nei conflitti di potere, qualcosa, in fondo, di accettabile nel grande gioco della guerra.

E così si continua a ragionare solo di quali armamenti dotare la difesa ucraina, e non ci si fa nemmeno scrupolo di pareggiare i conti con la Russia, che già le utilizza, fornendo anche a Kiev bombe a grappolo. Anche se, inevitabilmente, quelle inesplose in un domani di pace feriranno gli stessi bambini ucraini.

Sia chiaro: i torti della guerra, delle morti e della violenza stanno tutti da una parte: sono la responsabilità criminale del governo di Mosca. I torti e le ragioni del tempo prima della guerra, degli accordi non rispettati, delle manovre subdole, del conflitto a bassa intensità, delle più o meno legittime rivendicazioni, invece, possono essere più variamente ascrivibili a molti soggetti. Ma questo non è il tempo di discuterne. Perché è la fase dell’emergenza assoluta, dell’incendio che divampa, delle persone da mettere in salvo, della vita – sacra sempre – da preservare. È il tempo di promuovere una tregua, un cessate il fuoco. Prima ancora di tessere qualsiasi trama di “pace giusta”, l’urgenza assoluta, ora, è far tacere le armi, salvare le vite.

Il movimento pacifista cattolico, non-armato per natura, oggi viene dipinto come dis-armato pure nelle strategie, giudicato velleitario quando non addirittura accusato di “intelligenza con il nemico”, nonostante la solidarietà concreta sempre dimostrata al popolo ucraino e la mai equivocata attribuzione delle responsabilità. In realtà, questa forza non rimane a guardare ma insiste con le uniche armi a sua disposizione: il sostegno all’azione diplomatica del Papa e la preghiera. Ieri l’hanno ribadito in un documento 30 fra associazioni e movimenti ecclesiali, dalle Acli al Sermig, da Cl all’Azione Cattolica: «Vigile lettura dei segni dei tempi e Spes contra spem», speranza contro la speranza.

La missione del cardinale Matteo Zuppi – tra le pochissime effettivamente in campo e a così largo spettro – ha infatti bisogno del sostegno più ampio possibile. Della Chiesa anzitutto, dei credenti. Ma anche, auspicabilmente, del mondo politico e soprattutto delle istituzioni internazionali, finora piuttosto inerti. Per non lasciare soli gli inermi, per non arrendersi alla logica dei rapporti di forza, della guerra che lascia dietro di sé solo morte e devastazione. La pace si comincia a costruire solo coltivando un pensiero diverso, sostenendo la speranza che a decidere della vita di persone e popoli non siano fucili, missili, bombe atomiche.

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