Svelare e bandire la maternità surrogata
giovedì 23 marzo 2017

Ci sono eventi pubblici ai quali accorrono più giornalisti che partecipanti, e la loro eco mediatica è tanto forte e pervasiva quanto inspiegabile. E ci sono eventi che rappresentano, invece, autentici momenti di svolta, in cui le parole dette e i processi compresi e avviati sono molto importanti e persino decisivi. Uno di questi è avvenuto ieri, a Roma, alla Camera dei deputati, grazie alle donne di «Se non ora quando - Libere». Qui, raddoppiando la spinta dell’iniziativa lanciata poco più di un anno fa a Parigi, all’Assemblea nazionale di Francia, si è precisato e meglio articolato il pressing che un movimento prima di tutto (ma non solo) di donne sta realizzando sull’Onu per mettere al bando la «gestazione per altri», più popolarmente chiamata «utero in affitto», e fermare così l’immenso e scandalosamente protervo libero mercato che è stato organizzato per sfruttare il grande affare della produzione di esseri umani attraverso la riduzione a macchina dei grembi materni (nonché a materiale commerciale ovociti femminili e seme maschile).


Quando questioni e passaggi di questa rilevanza vengono messi a fuoco e mediati poco e male, riescono di solito a entrare nella piena consapevolezza della grande opinione pubblica soltanto a distanza di anni. E nulla conta che li accompagni una mobilitazione via via crescente e assolutamente fuori dagli schemi, capace di unire donne e uomini di diverse culture, persone credenti e non credenti, cittadini del nord e del sud del mondo. Proprio per questo non c’è tempo da perdere, ma c’è una impellente necessità di accendere luci informative e consapevolezze civili su che cosa è e significa la maternità surrogata. Un dovere che va onorato adesso, non dopodomani e neanche domani. Adesso, mentre ancora si sta dispiegando, la politica (e la logica, anche giudiziaria) del “fatto compiuto”, per cui ciò che ormai si fa anche se è terribilmente sbagliato non va denunciato come tale e impedito, va solo regolato.


La cosa riguarda molto noi cronisti, che siamo ovviamente tenuti alla rigorosa sobrietà della cronaca, ma anche capire quando siamo di fronte a fenomeni che segnano la storia e tracciano il confine tra umano e disumano. Lo sappiamo: distrazioni, sottovalutazioni e silenzi non sono ammissibili quando ci si trova davanti a vere e proprie ferite nella vita e nella coscienza delle persone e dei popoli. Perché di lì a poco diventa sempre chiaro che distrazioni, sottovalutazioni e silenzi non hanno giustificazioni, ma hanno una durissima spiegazione: la mancanza di lucidità, di coraggio intellettuale, di civiltà e di amore (uso deliberatamente anche questo concetto, così delicato e spesso manipolato sino allo svuotamento).

La maternità surrogata è una delle ferite aperte dell’umanità. Anzi, purtroppo già da alcuni anni, è la principale di esse, la più emblematica e dolorosa. Per questo ieri, a Montecitorio, nella Sala della Regina, è risuonato a più voci – voci della politica, della scienza, della cultura, dell’esperienza – un fermo, motivato e trasversale «no» a ogni forma di maternità surrogata, cioè a ogni cosificazione della donna-madre.


Se ne è parlato e discusso con una profondità, una bellezza e una varietà e diversità di argomenti che in questi anni, e anche nei giorni scorsi, avete letto più e più volte sulle nostre pagine e che oggi potrete ritrovare in sintesi nell’articolo di Lucia Bellaspiga, nel «cuore pensante» che ancora una volta Susanna Tamaro ha saputo mettere nello straordinario “racconto” che ha scritto e pronunciato per l’occasione e nel vibrante e giuridicamente inesorabile testo che sostiene la richiesta di una Raccomandazione Onu per bandire in ogni angolo del globo la maternità surrogata.
Più passa il tempo e più diventa chiaro che non solo chi organizza, ma anche chi non vede, non riconosce e non denuncia la nuda sopraffazione e la cruda violenza che caratterizzano, oggi più che mai, la colonizzazione dei corpi di donna a fini riproduttivi ne è e ne sarà considerato corresponsabile. E i giornalisti che invece di capire e di far capire avranno girato la testa o se la saranno riempita di scuse non saranno giudicati migliori dei gazzettieri di un tempo, che registravano e sostenevano le buone ragioni economiche e razziali della schiavitù degli uomini e delle donne dalla pelle scura.

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