Trump, Biden e il modello necessario: tutte le luci da riaccendere
mercoledì 6 gennaio 2021

Gli Stati Uniti stanno vivendo giorni e ore di fibrillazione politica forse senza precedenti, che solo una tragedia mondiale come la pandemia è stata a lungo in grado di mettere in secondo piano. Ma l’assedio a Capitol Hill di gruppi di trumpisti armati non solo di slogan rende impossibile sottovalutare la portata di ciò che sta accadendo a Washington e in Georgia non solo per i destini americani, ma anche per le prospettive delle democrazie occidentali. Quello che poteva essere un semplice passaggio di poteri, sancito istituzionalmente dal Congresso, si è trasformato letteralmente in una battaglia sulla regolarità delle recenti elezioni presidenziali, mentre il voto per due seggi senatoriali in Georgia è diventato un duello decisivo per la possibilità di governare in modo incisivo quella che è ancora la più grande potenza del Pianeta.

Ci si dovrà interrogare a lungo se Donald Trump sia stato il motore della radicalizzazione populista in atto o piuttosto il catalizzatore di una tendenza già avviata. Certamente, la sua ostinata resistenza a riconoscere la sconfitta nelle urne, malgrado il fortissimo scarto di voti complessivi e la pressoché totale assenza di prove dei presunti brogli, sta avvelenando i pozzi della democrazia liberale e dello Stato di diritto. La costante diffusione di sospetti infondati e di attacchi ingiustificati agli avversari crea un clima generalizzato di sfiducia e di ostilità, quando non incita addirittura alla violenza. Basta guardare le risposte agli exit poll della Georgia per averne un indizio. Gli elettori repubblicani hanno dichiarato preventivamente di non essere affatto convinti che lo spoglio sarebbe stato impeccabile, mentre i democratici escludevano dubbi sulla sua correttezza.

Nel momento in cui il capo uscente della Casa Bianca cercava l’ultimo colpo per frenare l’insediamento di Joe Biden e per incendiare la piazza parlando di "furto", il probabile controllo del Senato ai suoi rivali arrivava da Atlanta, Columbus, Savannah e Augusta, ovvero i grandi centri della Georgia, le città con una maggioranza di popolazione giovane e multietnica, laddove tutto il resto dello Stato, con le aree suburbane e rurali è dominato dal rosso degli elettori di Trump, in prevalenza bianchi e sopra i 60 anni. La vittoria di Warnock e Ossoff, improvvisamente assurti a figure chiave, è maturata di stretta misura. Dal 20 gennaio il nuovo presidente avrà di fronte un Paese ancor più profondamente diviso e riluttante a riunirsi sotto la stessa bandiera, con un leader ancora in carica che, ieri, parlava come un capopopolo deciso al tanto peggio tanto meglio, forse solleticato dalla prospettiva di dare vita a una entità politica a sua immagine.

Mike Pence, il fedele "numero due" dal basso profilo, ha infine giganteggiato annunciando il rifiuto di seguire Trump nel tentativo di impedire l’insediamento del presidente eletto e sovvertire alle Camere il risultato emerso dopo il 3 novembre (ma nella scorsa notte pur improbabili sorprese erano ancora possibili, con il Parlamento assediato dai manifestanti). La lealtà alla Costituzione (e alla realtà dei fatti, viene da dire) di molti esponenti repubblicani, come il senatore McConnell (che ha paventato una spirale mortale per la Repubblica) non deve comunque fare dimenticare che settori del partito continueranno a cavalcare l’idea che Biden sia un usurpatore, un burattino delle élite che disprezzano "il popolo" e le sue vere aspirazioni. D’altra parte, una fuga in avanti – nell’estremismo del politicamente corretto, nella cosiddetta cancel culture che spesso travolge anche il tanto di buono che ci viene dal passato – è quello che la nuova maggioranza democratica potrà essere tentata di fare, se non reggerà l’argine del centrismo che il nuovo leader incarna ma che già la sua vice Harris potrebbe dismettere una volta avviato il loro mandato.

È la "nuova" politica che avanza (e che forse ci fa arretrare) e rischia di allargare sempre più la sua influenza ben oltre i confini americani. La piazza virtuale incoraggia ovunque la semplificazione e la contrapposizione frontale. Il fastidio per la "casta" incentiva le scorciatoie a danno delle garanzie (e alla fine anche dei veri diritti). La riluttanza al dialogo e al ragionamento basato sull’oggettività rende difficile la selezione delle migliori opzioni a vantaggio dei pregiudizi e delle emozioni. La partigianeria, in definitiva, minaccia l’uguaglianza e le libertà di tutti.

Un quadro fosco davanti al quale si deve essere consapevoli dei rischi, ciascuno per la sua parte, e che deve farci sperare in un quadriennio americano capace di riaccendere le luci della città sulla collina, perché di un (buon) modello politico americano oggi abbiamo ancora bisogno.

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