Fahim e gli scacchi, film in uscita e la necessità di maestri
domenica 24 novembre 2019

Aveva otto anni Fahim quando arrivò in Francia con il padre, dopo una di quelle odissee per terra e per mare nelle quali tanti lasciano la vita. Veniva dal Bangladesh, dove un clan rivale della sua famiglia minacciava di rapirlo. A Parigi, nel 2008, quei due erano sans papiers come migliaia di altri: non una parola di francese, non un soldo in tasca. Ma Faihm sapeva già giocare molto bene a scacchi. Un maestro di scacchi francese in un circolo della periferia lo prese a cuore.

A dodici anni il ragazzino era campione under 12 di Francia. A regolarizzarne i documenti avrebbe pensato l’allora premier Fillon. Oggi Fahim ha 19 anni, studia all’Università, e la sua vicenda, già diventata un libro, è ora un film che esce nelle sale fra pochi giorni, anche in Italia. 'Una storia meravigliosa', è il titolo. Storia meravigliosa, davvero. A interpretare il maestro di scacchi che in una mesta banlieue parigina riconosce il talento del bambino, e lo adotta e lo educa, è Gérard Depardieu, figura tumultuosa e controversa, ma un gigante del cinema francese.

Depardieu ha letto il copione e accettato la parte in 24 ore: come innamoratosi di quel maestro, e di quel bambino. Vedremo dunque il grosso, invecchiato, travagliato Depardieu accanto a un ragazzino con i capelli nerissimi e la pelle cioccolato. Le storie che diventano cinema, si sa, restano, in chi le guarda, stampate con le facce degli attori che le interpretano, mentre quelle dei protagonisti della vicenda vera rimangono sconosciute. E dunque la 'storia meravigliosa' di un bambino del Bangladesh passerà attraverso il volto di questo attore amato, odiato, criticato, ma così profondamente francese.

Con la sua faccia dai tratti forti e irregolari che potrebbe essere quella di un remoto capotribù dei Galli, o di un popolano sudato, fremente tra la folla, alla presa della Bastiglia. Una faccia insomma intensamente francese e, con l’età, una faccia da padre invecchiato dalle sofferenze, e dalla vita. Ora, quest’attore che in Francia è un 'grande vecchio', una figura dell’immaginario collettivo, è nel film il maestro che cresce il 'clandestino', quello che per molti – Oltralpe come in Italia – è uno straniero senza nome e senza legge, un 'invasore' di quelli contro i quali si urla nelle piazze.

Il 'clandestino' accolto, invece, diventa un campione. 'Storia meravigliosa', sì, ma il miracolo vero sarebbe se quelli che la vedono sullo schermo, e magari votano per l’ex Front National, con un sussulto si accorgessero che il bambino Fahim è uguale ai loro figli, ai loro nipoti. Se si accorgessero che il piccolo 'nemico' è un bambino da accogliere.

Accanto a quelli già sulla giusta via, ce ne sono eccome, nelle periferie di Francia e d’Italia e d’Europa, di ragazzini così: ignoranti della lingua, in difficoltà a scuola, ciondolanti il pomeriggio sui marciapiedi, come non sapessero bene che fare di sé. Non tutti, certo, possono e vogliono diventare campioni di scacchi. Ma se trovano un maestro, un professore, o un amico più grande, magari in quegli oratori dove giocano a pallone ragazzi di ogni fede, quanti 'stranieri' diventeranno uomini e donne, e cittadini nella terra che li ha accolti. Il vero miracolo sarebbe se la fiaba di Fahim, trasfigurata sul grande schermo, operasse oltre le pure giuste ragioni della ragione, e raggiungesse quel punto del petto dove sta il cuore.

Mostrando senza ombra di dubbio, nella lucentezza della fiaba – le fiabe sono l’avverarsi dei sogni più profondi – che negli occhi neri di un bambino del Bangladesh abita la stessa speranza, la stessa domanda che vediamo in fondo allo sguardo dei figli nostri. (Allora finalmente molti proverebbero dolore, e sgomento, come fossero stati finora ciechi, al pensiero di quanti Fahim giacciono per sempre, con i loro lievi corpi di bambini, in fondo al Mediterraneo).

Già le periferie dell’Europa sono piene di questi figli bruni, spaesati, smarriti tra il mondo in cui sono nati, e questo: tanto più ricco, e nelle vetrine dei negozi traboccante di ogni bene, eppure un mondo in cui per loro, sembrerebbe, non c’è posto. A meno di non contentarsi di una vita da emarginati. A meno prendere certe vie traverse; a meno, per alcuni, di trovare una propria identità nell’odio. Non mancano i figli, in tante periferie: è che in quelle pelli diverse troppi non li sanno riconoscere. Mancano i padri, invece, i maestri di scacchi, di scuola o di officina, che, forti della propria storia, di memoria e speranza, sappiano abbracciare. Del tutto indifferenti, se gli occhi del nuovo figlio sono straordinariamente neri – giacché, loro lo sanno, la domanda stampata nel fondo è uguale.

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