sabato 11 ottobre 2014
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Nel 1958, don Lorenzo Milani concludeva Esperienze pastorali, il suo capolavoro teologico e letterario, con tre proposte, da valutare in alternativa. La prima era il ritorno al non expedit, cioè una nuova proibizione ai cattolici di compromettere il nome cristiano in una politica liberal-capitalistica.  Seconda ipotesi: affrontare le ingiustizie sociali con una radicalità superiore a quella dei comunisti. Al terzo posto una separazione totale dei ruoli: i laici cristiani impegnati in politica come «privati cittadini», i preti occupati ad annunciare «l’ideale cristiano alto e puro» e pronti a parlare di governi e di politici solo per criticarli duramente. Erano proposte fatte per provocare riflessione e discussione. Oggi non siamo più in concorrenza col comunismo, il capitalismo è in crisi ed è sparito il 'partito cattolico', che comprometteva la Chiesa. Ma la situazione di oggi sembra aver realizzato la terza proposta di don Milani. Chi si aspetta più che un politico agisca «da cattolico»? La legge sul divorzio non è nata dai cattolici, ma oggi un Parlamento e un governo dove stanno molti cattolici approvano il 'divorzio breve'. Forse la legge sull’aborto era, nello spirito, una depenalizzazione del reato, ma è stata gestita come la protezione di un 'diritto civile' e ora sembra superata dalla diffusione delle pillole abortive. Abbiamo difeso (come male minore) la fecondazione omologa in vitro e ora i governatori regionali (cattolici e no) fanno a gara per offrire il miglior servizio di fecondazione eterologa. Quanto reggerà il fronte contro il matrimonio omosessuale e la maternità surrogata? Quanto la resistenza contro la ricerca attraverso la dissezione degli embrioni soprannumerari? E la deriva eutanasica? La voce dei preti, su cui contava don Milani, arriva appena al piccolo gregge dei praticanti, mentre la gran massa dei battezzati 'in sonno' ascolta altri maestri. E se la voce oltrepassa le navate della chiesa, scatta l’accusa di ingerenza indebita. Eppure, non siamo soltanto davanti a nicchie di paganesimo, come ce ne sono state tante in passato, in basso come in alto. La trasformazione dei desideri individuali in 'diritti civili' (oggi primaria preoccupazione della politica) sta mettendo in crisi le fondamenta della società. Alcuni politici sono arrivati a contestare l’obiezione di coscienza all’aborto, tutelata per legge. Io mi chiedo: quante occasioni di obiezione di coscienza (non tutelata) si presenteranno in futuro? Per quanto ancora i cristiani potranno sentirsi partecipi di un ordinamento civile così permeabile al disprezzo verso la vita nascente, verso la famiglia, verso i figli? I cristiani dei primi secoli si posero il problema della collaborazione con le istituzioni statali dell’epoca, in pieno declino. Sant’Agostino giunse a vedere nella devastazione di Roma del 410 un giudizio di Dio che delegittimava del tutto lo Stato romano. Che dire, davanti alle devastazioni che da tanto tempo si operano in tutti i campi delle relazioni umane? Forse non serve sognare una nuova 'città di Dio', visti anche i tanti fallimenti del passato, ma certo è tempo di dare uno sguardo complessivo ai cambiamenti in corso. E chiederci poi se le risposte che stiamo dando come credenti sono adeguate alla gravità del momento.
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