martedì 6 maggio 2014
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Molto si discute, a ragione, dell’infiltrazione dell’estremismo politico e della malavita (anche organizzata) nei gruppi ultras del tifo calcistico, temi per altro arcinoti, ma tornati violentemente alla ribalta per i fatti folli e vergognosi accaduti sabato sera, prima e durante la finale di Coppa Italia tra il Napoli e la Fiorentina. Poco, troppo poco, si riflette invece su come e su quanto il modo di esprimersi degli stessi gruppi ultras sia ormai penetrato in profondità nel linguaggio quotidiano della politica. Eppure, soprattutto in un periodo di campagna elettorale come quello che stiamo attraversando, il parallelo appare evidente. Anche se non tutti sono uguali e non tutti (stra)parlano alla stessa maniera. C’è l’affermazione irridente (ma almeno né sanguigna né sanguinosa) nei confronti degli avversari: «gufi» e «rosiconi», epiteti cari al premier e segretario del Pd, Matteo Renzi, sono tra l’altro di chiara derivazione calcistica.

C’è la rivendicazione tonitruante di presunti torti subiti: i «quattro colpi di Stato» di cui il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, si lamenta in ogni suo intervento pubblico, e sorvoliamo sulle affermazioni relative alle vicende giudiziarie di cui è stato ed è protagonista. Non mancano poi né la provocazione maliziosa – la responsabile comunicazione della lista Tsipras che chiede voti pubblicando su Facebook una sua foto in bikini – né l’insulto puro e semplice, meglio se pesante. Nel campionario del capo dei 5 Stelle Beppe Grillo c’è solo l’imbarazzo della scelta, ma anche altri vanno forte.La caratteristica che li accomuna tutti è andare – chi più, chi meno – deliberatamente sopra le righe. Proprio come tanti dei cori e degli striscioni che si ascoltano e si leggono negli stadi. Sembra davvero incredibile che, nel novero delle autorità civili di questo Paese, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sia lasciato quasi solo a chiedere, come ha fatto ieri, un clima «nuovo per pacatezza e impegno e rispetto reciproco».E non si tiri in ballo, per favore, l’esigenza di un linguaggio immediato che arrivi diretto al cittadino: qui il problema è più grave e riguarda il "galateo" minimo della politica, che in una democrazia compiuta presuppone la legittimazione reciproca tra avversari e l’affermazione delle proprie idee, non il dileggio e l’aggressione costanti di quelle altrui. Reduci da vent’anni di bipolarismo feroce e inconcludente, rischiamo ora di fare l’abitudine a sentire i nostri politici che si danno del nazista, della carogna, dello sciacallo...Ma in questo caso l’abitudine si rivelerebbe ben presto per ciò che in realtà è: un vizio sociale, forse inguaribile. Il bipolarismo furioso, infatti, rischia oggi di continuarsi in un tripolarismo (verbalmente) violento. Il risultato, per ora, è che dalle affermazioni da bar dello sport si sta passando, appunto, agli slogan da stadio. È possibile che sia questo l’unico "salto di qualità" di cui è capace la nostra classe politica? Davvero i partiti e i loro leader sperano di riuscire a spiegare così agli italiani, nei prossimi 19 giorni, la propria idea di Europa? O, piuttosto, l’obiettivo è soltanto una manciata di seggi in più al Parlamento di Strasburgo? Oppure, peggio ancora, si vuole prevalere alle Europee per poi fare la voce grossa in Italia, pretendere nuove elezioni, dimissioni di cariche istituzionali e via comiziando? Qualcuno ha espresso chiaramente quest’ultimo proposito, altri non lo dicono, ma francamente danno l’impressione di pensarci. E dire che la spia dell’astensionismo è accesa ormai da tempo sul cruscotto elettorale. Con campagne elettorali da Daspo finirà che alle urne andranno soltanto elettori ultras – magari gli stessi che quando vanno alla partita fischiano l’inno nazionale – per votare politici altrettanto ultras, incapaci di distinguere l’emiciclo di Montecitorio da una curva.

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