Una «giustizia riparativa» per l’umanità
giovedì 3 settembre 2020

Caro direttore,
le parole del Santo Padre in occasione della Giornata mondiale per la cura del Creato hanno un grandissimo valore, non solo per i credenti. È un messaggio universale che si rivolge alla coscienza di ciascuno. Il richiamo alla «giustizia riparativa » e ad una legislazione più attenta al bene comune sono passaggi che lasciano il segno. La pandemia ha mostrato tante fragilità e tanti limiti che del resto appartengono alla natura umana, compreso quel malinteso senso di onnipotenza che troppo spesso ci allontana dalla rotta della giustizia sociale e della solidarietà.

L’emergenza sanitaria è stata anche occasione per riflettere sulle criticità di modelli di sviluppo avulsi dalla centralità della persona e quindi sulla necessità di porvi rimedio, in tempi necessariamente rapidi. Un anno fa, queste erano le settimane in cui conquistavano uno spazio nel dibattito pubblico le nuove generazioni dei Fridays for future e il loro richiamo alle istituzioni a prestare maggiore attenzione alla cura della Terra e dell’ambiente.

Il coronavirus ha limitato il movimento, ma non le ragioni di quella battaglia. Dal 29 luglio scorso, il nostro pianeta ha esaurito le sue risorse per quest’anno. L’Overshoot Day – i lettori del giornale da lei diretto lo sanno bene, visto che 'Avvenire' lo documenta e lo commenta con attenzione anno dopo anno – è il giorno in cui la domanda dell’umanità supera la disponibilità di risorse biologiche che gli ecosistemi della Terra sono in grado di rinnovare nell’arco dei dodici mesi. E il fatto che questa data si sia fatta più ravvicinata – appena quindici anni fa cadde il 2 ottobre – dovrebbe preoccuparci tutti.

Abbiamo una responsabilità enorme verso le nuove generazioni, nei confronti di chi sarà segnato da questa pandemia e porterà con sé il dolore di questo periodo. È davvero un tempo delicato e di scelte. Dobbiamo fare in modo che si riduca la forbice delle diseguaglianze e con essa il rischio di conflitti. Il primo vaccino da trovare è quello contro gli egoismi, contro l’idea che ci siano barche e destini diversi.

Questa meravigliosa e malconcia nostra Terra è l’unica, comune, barca che abbiamo e che dobbiamo curare. Il Governo italiano nella gestione dell’emergenza sanitaria e attraverso le misure adottate a sostegno dell’economia ha promosso diverse iniziative finalizzate a una maggiore cura dell’ambiente e a favore della sostenibilità, perché il futuro è lì. È sicuramente sulle persone che bisogna investire: sulla loro formazione, sulle competenze, sull’accesso al welfare e alle cure, alle nuove tecnologie e all’informazione.

Da qui passa anche una rinnovata lotta alle diseguaglianze, sia nel nostro Paese – perché esse in particolare dalla crisi iniziata nel 2008 si sono purtroppo accentuate anche qui da noi – sia a livello globale. «Riparare la Terra» è sicuramente la prima politica di contrasto alle diseguaglianze. La forza straordinaria del messaggio di papa Francesco sta proprio nella semplicità con cui si rivolge all’umanità per accrescere tale consapevolezza. Non è più il tempo di spingere il pianeta oltre i suoi limiti. Una volta Norberto Bobbio, per sottolineare come si dovesse ormai considerare finito il tempo della fiducia in un inarrestabile progresso delle vicende umane, citò il Pascal che disse: «Noi corriamo spensierati verso l’abisso dopo esserci messi davanti agli occhi qualche cosa che ci impedisce di vederlo». Ma sempre Bobbio aggiungeva anche che «nessuno, se non gli uomini stessi, può salvare il mondo e l’umanità». Ecco, papa Bergoglio ci esorta a credere a questo.

Alla conseguenza delle nostre azioni. Alle necessità di agire in modo diverso rispetto a quanto si è fatto finora. Alla possibilità di cambiare le cose. E allora questa è la sfida. Superare una volta per tutte il dualismo tra sviluppo e sostenibilità, con un profondo mutamento culturale che ci porti ad assumere una visione integralmente nuova: non più l’uomo come 'padrone della Terra', ma come parte integrante dell’ambiente, consapevoli della finitezza delle risorse a nostra disposizione. Solo così, peraltro, dimostreremo di aver fatto tesoro anche delle profonde ferite che ci sta lasciando questa pandemia.

Sottosegretario all’Informazione e all’Editoria

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