domenica 15 dicembre 2013
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La Tobin Tax all’italiana nata in fret­ta e furia alla fine dello scorso anno come una qualunque tassa sul fu­mo ha fallito, come purtroppo pre­visto, il suo obiettivo di gettito (159 milioni invece di un miliardo). I difetti della prima architettura, come anche questo gior­nale ha sottollineato a più riprese, sono l’ap­plicazione della tassa solo sui saldi di fine gior­nata (decisione che tradiva completamen­te l’obiettivo di penalizzare il trading ad al­ta frequenza), l’aliquota troppo elevata (su­periore a quella proposta dalla campagna '005') e applicata al ristretto perimetro del­le transazioni su azioni e non su tutte le al­tre attività finanziarie.
Con un apposito emendamento Pd, Per l’Ita­lia, Scelta Civica, Ncd, Sel e Lega propongono in queste ore una profonda revisione alla vec­chia struttura. L’emendamento Bobba fa al­cuni passi in avanti importanti anche se per­mangono differenze rispetto alla proposta de­gli 11 Paesi Ue e a quella della campagna '005'. Si punta ad applicare un’aliquota molto più bassa (1 per diecimila invece che 1 per mille su azioni e 1 per centomila sui derivati esclu­dendo quelli di copertura), ma allargando di molto il perimetro delle transazioni tassate (spariscono tra l’altro le esenzioni per i fondi pensione). Permane l’esclusione degli scam­bi di titoli di Stato e si applica un’aliquota più punitiva sulle transazioni su derivati effettua­te fuori dai mercati regolamentati (1 per die­cimila invece di 1 per centomila). La tassa sulle transazioni finanziarie si propo­ne potenzialmente due obiettivi in parte con­fliggenti tra di loro: raccogliere un gettito im­portante e scoraggiare alcuni tipi di transa­zioni, come quelle sui derivati 'non regola­mentati', tenuto anche conto del loro mag­giore apporto a rischi sistemici e di contro­parte che sono stati all’origine della crisi fi­nanziaria mondiale. Come era ovvio aspettarsi stiamo assistendo alla levata di scudi delle lobby che sono arri­vate a paventare il rischio di perdite di migliaia di addetti del settore di derivati (che non esi­ste). Quello che è certo è quanto Il Sole 24 ore ha riportato qualche settimana fa presentan­do un’indagine Mediobanca che attesta come oltre il 90% dei derivati sia utilizzato dalle gran­di banche per moventi puramente speculati­vi, che una delle più importanti banche italia­ne ha depauperato la ricchezza accumulata nei secoli da un’intera provincia (Siena) per o­perazioni spericolate sui derivati e che al mo­mento della crisi finanziaria del 2007 solo l’al­chimia ragionieristica di contabilizzare al co­sto storico di acquisto invece che a valore ef­fettivo di mercato (divenuto praticamente nul­lo) i derivati in patrimonio delle maggiori ban­che le salvò dal fallimento. La verità dunque è che l’emendamento Bobba vuole salvare famiglie e imprese serie dalla pericolosa illusione di qualche centinaio di presunti esperti che crede di poter battere il mercato scommettendo su questi strumenti. E che un Paese serio come gli Stati Uniti, che sbaglia ma sa correggere i propri errori, ha fatto trionfare il principio liberale per il quale l’interesse della maggioranza prevale su quello delle lobby. E questo approvan­do, la scorsa settimana, una legge molto severa di separazione tra banca commerciale e ban­ca d’affari dove alle grandi banche è vietato il trading in proprio sui derivati e c’è l’onere del­la prova di dimostrare che il presunto uso dei derivati come forma di copertura ha effettiva­mente ridotto qualche tipo di rischio per l’organizzazione.
Dopo la crisi, gli Stati Uniti hanno chiuso il cerchio: con una politica monetaria espansiva e con la riforma della finanza. Mentre il presidente della Bce Mario Draghi ha dovuto ammo­nire che non aprirà nuove linee di liquidità alle banche se i soldi non arriveranno a cittadini e imprese (fermandosi, magari, nei rivoli di qualche scommessa sui derivati). Rischiamo di diventare sempre più il Paese della superstizione, dei maghi e delle fattucchiere. I corni pic­coli e grandi a cui ci affidiamo contando sulla sorte e non sulle nostre intelligenze rischiano non solo di far perdere lo status di patrimonio dell’umanità alle nostre ricchezze del passa­to, ma anche di farci perdere il treno della ripresa verso un benessere economico socialmente sostenibile. Una Tobin Tax ben congegnata è, invece, uno dei passi nella direzione giusta.​
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