venerdì 29 luglio 2011
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Cercando di approfittare del periodo vacanziero estivo, la giunta regionale dell’Umbria ha adottato per l’aborto farmacologico con la pillola Ru486 linee guida difformi da quelle del Ministero della Salute. Secondo il Comitato tecnico-scientifico locale che le ha predisposte, in Umbria di norma si adotterà il regime di day hospital, anziché il ricovero ospedaliero ordinario indicato sulla base di tre pareri del Consiglio superiore di sanità (Css), la massima istituzione scientifica italiana in ambito medico. Non è chiaro su quali basi scientifiche la Regione Umbria, al termine di un travagliato iter, abbia potuto esprimere un orientamento differente da quelli del Css. Su questo alcuni rappresentanti dell’associazionismo hanno chiesto ieri un confronto pubblico: che si spieghi ai cittadini, soprattutto alle donne, perché le indicazioni locali contrastano con quelle ministeriali. L’impressione è piuttosto quella di un "soccorso rosso" da parte dell’Umbria nei confronti dell’Emilia Romagna, unica regione italiana, finora, ad aver espressamente indicato il day hospital anziché il ricovero ordinario. Ma il tentativo di rompere l’isolamento politico emiliano-romagnolo non sembra giovare al governo regionale umbro, nel quale una parte del Pd – compreso il presidente del Consiglio regionale, Eros Brega – si è dissociata dall’iniziativa, insieme a tutta l’opposizione: Pdl, Udc, Lega e Fli. Associazioni e società civile hanno annunciato la loro azione di monitoraggio stretto delle procedure: ogni mese alcuni consiglieri regionali presenteranno interrogazioni per seguire da vicino l’andamento delle procedure, con particolare riferimento alle straniere, alle minorenni, alla verifica di ciò che accade nei momenti più delicati dell’aborto farmacologico (come la "fase espulsiva"), sino alla visita finale di controllo e agli eventi avversi.Anche se la mortalità da aborto farmacologico è maggiore di quella chirurgica, se gli effetti collaterali e le complicanze con la Ru486 sono più numerosi e pesanti di quelli con le procedure usuali – e per questo si consiglia il ricovero ordinario –, c’è chi ostinatamente vuole comunque introdurre il day hospital, perché il vero obiettivo politico è l’aborto a domicilio, il tragico fai-da-te nel bagno di casa, che si trasforma da piaga sociale a personalissimo atto medico e che toglie agli ospedali la "fastidiosa" incombenza di impiegare medici per interrompere gravidanze. In Francia, dove la Ru486 si può prendere presso medici di base convenzionati, si è proposto di farla dispensare anche alle ostetriche. E poi, tutte a casa, da sole. E se tante donne non tornano ai controlli, pazienza. E se poi altre ne muoiono, basta non parlarne.Una pillola, e l’aborto non c’è più, perché è sparito dalla vista. La via farmacologica all’aborto porta alla sua scomparsa sociale, e all’indebolirsi anche della percezione dell’atto compiuto: non perché sia più facile, ma perché non occupa più la scena pubblica, e si svolge solamente nel privato, fra un medico e una sua paziente. In questo modo l’aborto si sposterà man mano dagli ospedali alle case, e da ultimo scomparirà anche la parola, sempre più sostituita dall’espressione «contraccezione di emergenza» o «post-concezionale», quella categoria di prodotti chimici che possono impedire l’annidamento dell’embrione in utero. Rimarrà solamente nell’esperienza personale delle donne. Allora si potranno pure modificare in senso restrittivo le leggi, perché non serviranno più: con l’inganno dell’aborto camuffato da contraccezione, basta la farmacia. Una china pericolosa, già iniziata, di cui si indovina tutto il percorso, verso l’obiettivo finale: consentire la soppressione di vite umane e al tempo stesso cancellarne ogni traccia visibile. Compresa la stessa parola.
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