Un sussidio europeo per costruire fiducia
giovedì 27 aprile 2017

I risultati del primo turno delle presidenziali d’Oltralpe hanno fatto gridare molti europeisti al successo e allo scampato pericolo. Ma se in un Paese come la Francia quasi un quarto degli elettori vota per un partito come quello della Le Pen vuol dire che qualcosa di grosso non va nella realtà dei fatti o, perlomeno, nelle aspettative degli elettori. La Commissione Europea pare esserne consapevole e ha lanciato ieri una riflessione sulla dimensione sociale dell’Europa di qui al 2025. Il fatto che l’Eurozona nel recente passato sia stata salvata da un uomo solo al comando (Draghi) la dice tutta sulla fragilità del suo impianto. È bene, perciò, non farsi illusioni e non c’è tempo da perdere se vogliamo evitare che ogni tornata elettorale in un Paese europeo diventi un batticuore dobbiamo fare presto per cambiare l’idea e la pratica di Europa. E i fronti di lavoro sono due: quello politico e quello culturale. Sul fronte politico c’è assoluto bisogno di un passo avanti in termini di fiducia e integrazione tra gli Stati membri. L’adozione della moneta unica ci ha messo in mezzo al guado. Rendersene conto non basta, occorre agire.

Non conviene (e non vogliamo) tornare indietro, verso la sponda nazionale da cui siamo partiti, ma è tempo di non limitarsi a intravedere e di cominciare invece ad attuare quelle iniziative di 'messa in comune di risorse' in grado di generare superadditività e, dunque, benefici per tutti che potrebbero portarci sull’altra sponda del fiume. Ci occorre un assicurazione europea comune dei depositi bancari, forme più o meno avanzate di condivisione dei rischi sui debiti pubblici nazionali, una bad bank europea non profit per risolvere il problema delle sofferenze a livello sovranazionale come proposto dall’Autorità europea delle Banche e affrontare finalmente con decisione il problema dell’armonizzazione fiscale. Le correnti che ostacolano il cammino verso questa sponda sono la mancanza di fiducia da un lato (i Paesi in surplus, Germania in testa) e la mancanza di meritevolezza di fiducia dall’altro (i Paesi in deficit, Italia in testa). La paralisi assume quasi contorni irrazionali.

Guardiamo al nostro Paese, Se, come pensano in molti in Europa, l’Italia è troppo grande per fallire e troppo grande per essere salvata, la condivisione delle risorse a livello europeo è l’unica via d’uscita. Ma il timore che questo possa far allentare i freni e indurre a politiche 'lassiste' è forte. Entrambe le parti (Nord e Sud dell’Eurozona) devono pertanto costruire un percorso di impegni e segnali per superare la paralisi della sfiducia e rendere la via della cooperazione credibile. Un’altra misura fondamentale che avrebbe un impatto politico immediato, su cui da tempo i vertici europei discutono senza riuscire a prendere una decisione, è quella di un sostegno di inclusione attiva (simile a quello appena avviato in Italia) a livello europeo. Per tutti coloro che sono sotto la soglia di povertà, la Ue dovrebbe fornire l’integrazione monetaria necessaria ad arrivare a quella soglia affiancando al contributo monetario la presa in carico e subordinando il sussidio alla verifica dell’effettiva ricerca di lavoro per chi è in età da lavoro.

Non si tratta di partire da zero, ma semplicemente d’integrare le misure già esistenti in tutti i Paesi europei aggiungendovi qualcosa. In un recente lavoro econometrico un ricercatore dell’università di Warwick dimostra che nelle Province inglesi nelle quali c’è stato maggiore flusso migratorio i salari dei lavoratori meno specializzati sono in proporzione diminuiti e il voto al partito della Brexit è aumentato. Un sostegno d’inclusione attiva a livello europeo ben costruito potrebbe fidelizzare all’Europa proprio quella fascia di popolazione più critica venendo incontro a un suo grave bisogno. E sarebbe molto più semplice da realizzare di misure di standard minimi sul costo del lavoro imposti dall’alto (su cui s’incentra gran parte della consultazione avviata dalla Commissione UE) che hanno già incontrato l’immediata opposizione dei paesi europei a più basso costo del lavoro come la Polonia. Sul fronte culturale la missione si gioca su tutti i mezzi di comunicazione, social inclusi, per evitare che nascano post-verità alla ricerca di capri espiatori e di soluzioni sbagliate al problema.

Molte sirene hanno approfittato del problema che vivono fasce importanti della nostra popolazione, un mix di fattori economici ed identitari, attribuendone la responsabilità all’Europa. Se industry 4.0 e l’immigrazione distrugge posti di lavoro a bassa qualifica, e se il mondo non è più quello di una volta e vedo attorno a me tante facce di persone con cui non condivido le stesse radici culturali e identitarie, la colpa è dell’Europa. Su questo fronte siamo tutti chiamati a sporcarci le mani per spiegare le ragioni della fiducia, cooperazione. Ue o non Ue l’integrazione e l’abbattimento delle barriere sono spinte nei fatti dalla rivoluzione della comunicazione e delle tecnologie e il progresso scientifico, economico, sociale e spirituale dell’umanità è nato sempre dalla connessione e dall’incontro tra le differenze. Il segreto sta nel gusto di stare ai crocevia della diversità senza cancellare la nostra identità ma con l’orgoglio del contributo specifico che essa può apportare all’incontro dei popoli e delle culture.

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