martedì 27 marzo 2012
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Dopo l’abbraccio caloroso e travolgente di un intero popolo che in Messico si è stretto attorno al «Papa col sombrero», Benedetto XVI affronta a Cuba un abbraccio pieno d’insidie. Nell’ultimo Paese comunista dell’emisfero occidentale qualcosa sta cambiando e dal Pontefice c’è chi si aspetta una benedizione e chi invece una scomunica. È evidente l’ansia di legittimazione da parte del regime che è giunto al punto di vedere nella «capacità di resistenza della Rivoluzione (con la maiuscola naturalmente) un miracolo della Madonna». Sul versante opposto un piccolo gruppo di dissidenti ha cercato di utilizzare la visita del Papa per dare visibilità alle proprie rivendicazioni fino al punto d’occupare una chiesa, subito sgomberata. «Benedetto XVI va a Cuba per sostenere il regime dei fratelli Castro», è l’accusa perentoria lanciata dal giornale americano Washington Post (lo stesso che nel 1983 criticò Giovanni Paolo II perché tornava in Polonia con l’intenzione di seppellire Solidarnosc, una previsione smentita clamorosamente dalla storia che dovrebbe suggerire a certi columnist almeno un po’ di serena cautela). Contro ogni tentativo di strumentalizzazione Benedetto XVI, appena messo piede sull’isola caraibica, ha voluto chiarire da che parte sta: la stessa di Giovanni Paolo II la cui storica visita nel 1998 «fu come una brezza soave di aria fresca che diede nuovo vigore alla Chiesa in Cuba e stimolò il desiderio di lavorare con audacia per un futuro migliore».A seguito di quell’evento epocale, oggi la comunità dei credenti non è più emarginata dal castrismo e non subisce vessazioni. Papa Ratzinger esprime apprezzamento, ma ci tiene a rimarcare che «restano ancora molti aspetti nei quali si può e si deve avanzare», riferendosi al ruolo della fede nell’ambito pubblico. È la richiesta di una piena e autentica libertà religiosa, punto dolente del regime che continua a ispirarsi al marxismo, definito da Benedetto XVI «un’ideologia superata» «Vengo a Cuba come pellegrino della carità», è il biglietto da visita del Papa che in questo modo ci offre la chiave interpretativa più corretta di questo suo difficile viaggio pastorale. Come ha spiegato nell’enciclica Deus caritas est , «la Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia». Da qui l’invito a Cuba a «rinnovare e ampliare i suoi orizzonti», in linea con il messaggio di Papa Wojtyla già entrato nella storia: «Cuba si apra al mondo ed il mondo si apra a Cuba». Raul Castro sta tentando una lenta e ambigua transizione «alla cinese», autorizzando un po’ più di libertà economica senza però nulla concedere sul terreno della libertà politica. Misure insufficienti, dicono i vescovi cubani. Il Papa non potrà che confermare questo giudizio nel colloquio che avrà oggi con il presidente Raul. L’attesa mediatica è tutta concentrata però sul suo incontro – pressoché certo anche se non previsto dall’agenda ufficiale – con Fidel, il «comandante» vecchio e malato sempre più sensibile ai temi della fede e dell’aldilà. Ma Benedetto XVI non permetterà che il suo intenso viaggio pastorale venga imprigionato in questo fotogramma. È la speranza delle Dame in Bianco che ogni domenica sfilano silenziose davanti a una chiesa per ricordare i prigionieri politici e che vorrebbero incontrare il Papa anche solo per un minuto. Pensava anche a loro Benedetto XVI quando ieri, nel suo saluto, si è rivolto significativamente ai «detenuti e loro familiari», un accenno che non dev’essere piaciuto ai custodi di un regime che resta repressivo e illiberale.
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