Un messaggio ai responsabili
mercoledì 8 dicembre 2021

Il senso di unità che il Paese può riscoprire intorno all’istituzione e alla persona del suo Presidente è un patrimonio che la Repubblica non può disperdere per beghe partitiche. I sei minuti di applausi tributati ieri a Sergio Mattarella dalla Scala di Milano si aggiungono alla lunga ovazione del San Carlo di Napoli di pochi giorni fa, e suonano da Sud a Nord come un monito a leader impegnati in infiniti e stucchevoli giochi tattici: il Colle più alto non è proprietà dei capipartito, non è nemmeno nelle disponibilità esclusive dei 1.008 delegati che tra poco più di un mese si riuniranno nell’aula di Montecitorio, e che mai come in questa circostanza dovranno mettere da parte interessi parziali e farsi interpreti intelligenti delle necessità e dei sentimenti della gran parte dei concittadini.

Dalle case della cultura di Milano e da Napoli, ma anche dalle scuole e dalle università che Mattarella sta visitando a conclusione del settennato, si avverte con chiarezza che nell’era di partiti fragilissimi e ondivaghi la figura del capo dello Stato rappresenta quel filo, insieme sottile e resistente, a cui si aggrappano le migliori energie e la residua speranza che questo Paese possa davvero e finalmente cambiare. Le ovazioni vanno dunque seriamente assorbite dai partiti come un messaggio politico. Non rappresentano invece una lusinga personale al capo dello Stato. Non gonfiano l’ego, ne siamo certi, di un Presidente che ha fatto di una umanità sincera e mai esibita la cifra del settennato.

E non possono cancellare così, di colpo, come un’onda emotiva, le solide motivazioni istituzionali che Mattarella ha sinora opposto all’ipotesi della rielezione, che tanti problemi risolverebbe a leader gravidi di proclami e poveri di soluzioni e di metodo. Quel «bis» che i cittadini gli chiedono deve fare i conti con una profonda riflessione che Mattarella ha già compiuto circa i rischi di trasformare l’eccezione in normalità, l’emergenza in ordinario. Già questa logica dello stato di eccezione permea troppi aspetti della vita sociale ed economica, radicarla nelle istituzioni fondamentali può essere un vantaggio a breve termine, ma un danno pesante a medio-lungo termine. L’ipotesi della rielezione va quindi quantomeno ricacciata nel suo luogo originario: l’ultima faticosissima istanza cui si ricorre solo ed esclusivamente per evitare un oggettivo baratro al Paese.

Quell’appello – «bis, presidente» – va dunque preso, al momento, nel suo dato possibile: l’avvenuta completa identificazione tra il profilo umano e politico (europeista, solidale, costruttivo, razionale, realista) laicamente espresso dal cattolico democratico Mattarella e l’istituzione della Presidenza della Repubblica. È una traccia ai partiti – tutti – per cercare con responsabilità una «continuità istituzionale» senza chiedere, e quasi pretendere, comode 'exit strategy'. O almeno provarci sinceramente, cosa che sinora non è accaduta.

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