mercoledì 22 giugno 2011
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Inutile nasconderselo, oggi il cibo viene trattato alla stregua di qualsiasi altra merce da parte di un’«alta finanza» mondiale che guarda tendenzialmente alla massimizzazione dei profitti. E la mancanza di una saggia regolamentazione dei mercati continua a determinare un’esplosiva e mortale emergenza alimentare su scala planetaria. Basta aprire gli occhi per rendersi conto che la mancanza di un effettivo contenimento della "volatilità" delle quotazioni dei prodotti agricoli sta avendo effetti devastanti in molti Paesi del Sud del mondo, soprattutto tra i ceti meno abbienti. E chi non riesce a vedere e capire potrebbe almeno sforzarsi di ascoltare la voce accorata dei nostri missionari.Per garantire la stabilità dei prezzi, in un mercato a domanda rigida come quello alimentare, è importante che la politica esca dal letargo, contrastando quello che è lo strapotere delle grandi imprese dell’agro-business. Si tratta in sostanza di riaffermare il primato della persona umana sugli affari, investendo diligentemente nel settore agricolo. Da una parte, occorre potenziare le produzioni locali con la valorizzazione delle cosiddette identità territoriali; dall’altra, è necessario contrastare con ogni mezzo, nelle zone rurali, l’omologazione delle culture che, com’è noto, deprime i prezzi, aumentando a dismisura la dipendenza dall’estero. Questo in sostanza significa dare impulso, nella cooperazione alla sviluppo, a un approccio innovativo che vada ben al di là della logica assistenziale dei tradizionali donatori internazionali.A essi va decisamente chiesto di farsi carico delle istanze degli agricoltori, garantendo credito e investimenti per favorire un adeguato approvvigionamento alimentare a tutte le popolazioni del pianeta, senza discriminazioni di sorta. Anche perché, sebbene in alcune regioni della Terra permangano bassi livelli di produzione agricola, globalmente tale produzione sarebbe sufficiente per soddisfare sia la domanda attuale, sia quella prevedibile in futuro.È necessario pertanto riformare il sistema globale con coraggio, contrastando, ad esempio, il ricorso a certe forme di sovvenzioni care all’Europa, ma che perturbano gravemente il settore agricolo, particolarmente in Africa. E cosa dire della persistenza di modelli alimentari orientati al solo consumo e privi di una prospettiva di più ampio raggio che tenga conto del bene comune? Una cosa è certa, l’emergenza alimentare non si risolve imponendo ai produttori di tenere bassi i prezzi, perché non sarebbero in grado di sbarcare il lunario nel contesto dell’attuale congiuntura economica. Quelli che invece dovrebbero aprire il cordone della borsa sono coloro che ricercano sempre e comunque il profitto a breve termine, speculando sulle masse dei poveri vecchi e nuovi.Non è affatto normale, né moralmente accettabile, il volume della bolla finanziaria che si è venuta a gonfiare in questi anni attorno alle materie prime agricole. Il tema deve essere indubbiamente affrontato dai Grandi della Terra, e dunque interpella anche il nostro governo in vista – tra l’altro – dell’Expo 2015 all’insegna dello slogan "Nutrire il Pianeta, energia per la vita". Milano, è bene rammentarlo, è anche una delle capitali della finanza mondiale. E allora – se il nostro Paese intende davvero rivestire un ruolo significativo nella sfida planetaria della lotta contro inedia e pandemie – non può fare orecchie da mercante su una questione delicata e scottante come il rapporto tra cibo e speculazione. Un tema questo cui Avvenire ha dedicato da tempo costante attenzione, dando voce a chi non ha voce, nella convinzione che sia sempre più necessaria una svolta all’insegna del sano recupero di criteri etici nelle attività economico-finanziarie. E che questa possa diventare la chiave per superare le gravi distorsioni di un mercato che ha bisogno di redenzione.
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