sabato 7 maggio 2022
Uno stallo nell'Est, Mosca punta sui bombardamenti sistematici, anche contro Odessa. La crisi mondiale del grano potrebbe essere un motivo per provare a spingere le parti verso una tregua temporanea
Guerra giorno 73: offensiva russa bloccata nel Donbass, ma la pace non avanza
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Nel giorno 73 della guerra in Ucraina, subito si affievoliscono le speranze di una trattativa che le dichiarazioni del presidente in collegamento con Londra avevano suscitato venerdì. Nessuna reazione da Mosca e chiusura dalla Nato, la quale fa sapere, per bocca del segretario generale Stoltenberg, che “i membri dell’Alleanza non accetteranno mai l'annessione illegale della Crimea”, così come si sono sempre opposti al controllo russo su parti del Donbass.

Può sembrare improprio che un’apparente correzione di rotta arrivi da Bruxelles e non da Kiev, proprio poco dopo l’annuncio da parte del Paese vittima dell’aggressione. L’interpretazione forse più plausibile è che Zelensky abbia rilanciato l’offerta di lasciare la penisola occupata fuori dai negoziati solo per non dare l’impressione di chiudere in modo preventivo la via diplomatica. Ma la leadership ucraina sa bene che in questa fase non c’è volontà di sospendere le operazioni sul campo finché non verrà una svolta a favore di una parte o dell’altra.

La Russia continua a colpire le infrastrutture energetiche e di trasporto del Paese: è toccato ancora una volta a Odessa, raggiunta da numerosi missili. Kiev prova la controffensiva a Est, con il crescere degli aiuti militari occidentali. Dalla Duma è arrivata l’accusa agli Stati Uniti di essere pienamente coinvolti nella guerra, apertamente schierati contro Mosca. La situazione è diventata particolarmente tesa negli ultimi giorni. Sono noti i rifornimenti all’arsenale dei resistenti da parte di Washington, così come le informazioni di intelligence che avrebbero permesso di colpire generali e navi degli invasori. L’escalation militare e le fughe di notizie sui giornali avrebbero però indotto lo stesso Biden a cercare di riportare una cortina di silenzio sull’effettiva portata del contributo Usa al conflitto.

Il vero campo di battaglia resta comunque il Donbass, dove infuriano i combattimenti, ma Mosca non riesce a sfondare. Dopo quasi 20 giorni, l’attesa e temuta grande offensiva è al di sotto delle aspettative del Cremlino, come spiega con dovizia di dettagli uno dei principali reporter e analisti militari ucraini, Illia Ponomarenko, del “Kyiv Independent”. Sembra infatti ben lontano l’obiettivo finale: l'accerchiamento e la paralisi delle truppe ucraine nella regione. L'assalto appare destinato a non raggiungere il successo simbolico che la Russia desiderava ottenere alla vigilia del Giorno della Vittoria, lunedì 9 maggio.

Prima dell'avvio dell'offensiva nel Donbass, all'inizio di aprile, la Russia aveva concentrato 70- 80mila uomini, con altre brigate dislocate nella zona di Belgorod, appena oltre confine. La fallita guerra lampo ha tuttavia reso quasi un quarto di quelle truppe incapaci di qualsiasi operazione importante. L’Ucraina dal canto suo schiera 44mila uomini, concentrati in aree urbane fortificate nel Donbass centrale - le città di Sloviansk, Kramatorsk, Sievierodonetsk, Lysychansk, e le parti settentrionali di Donetsk.

Nell’operazione in corso, la Russia si muove da Nord (lungo l'autostrada Izium-Sloviansk) e da sud (nelle province di Zaporizhzhia e Donetsk). I due assi dovevano incontrarsi nel mezzo, tagliando fuori le forze di Kiev dai rifornimenti e dal resto del Paese. Tuttavia, nelle ultime due settimane, l’Armata russa è avanzata di non più di 20-30 chilometri su uno solo dei due assi. Secondo il Pentagono, lo stallo a Sud ha quindi portato Mosca a ritirare almeno due brigate da Mariupol e ridispiegarle nel Donbass.

Dopo quasi tre settimane di battaglia nel Donbass, la comunità di esperti è sempre più dubbiosa su qualsiasi prospettiva di chiaro successo di Mosca nell'operazione. Ma i costi per Kiev sono destinati a diventare progressivamente insostenibili. Se l’Armata rimane impantanata in una guerra di logoramento e di posizione, il martellamento con bombe e missili dal cielo può alla lunga mettere in ginocchio il sistema vitale del Paese. Attualmente, il 75% delle imprese continua a operare. Il che significa che un quarto, in due mesi e mezzo di guerra, ha già dovuto cessare le proprie attività. Dopo sei mesi, il dato potrebbe essere tale da rendere complessa la stessa sopravvivenza economica.

Potrebbero allora essere le conseguenze esterne del conflitto a indurre gli attori più o meno coinvolti nella crisi, dagli Stati Uniti all’Europa fino alla Cina, a considerare una via di uscita. Come ha denunciato ancora una volta l’Onu, la guerra sta affamando il mondo per il blocco delle esportazioni di cereali, responsabilità soprattutto della Russia. Senza una tregua, la crisi ucraina rischia di innescare un domino pericoloso in Asia e in Africa. Un effetto globale che forse, sperabilmente, si vorrà scongiurare.

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