lunedì 7 novembre 2022
Kiev rischia di rimanere senza luce, acqua, riscaldamento. Trapelano contatti degli Usa con Mosca e pressioni su Zelensky perché accetti di trattare. Ma lo scenario potrebbe essere in rapido mutamento
Guerra giorno 257: le città strozzate dai russi e le trattative sotto traccia
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La guerra in Ucraina è arrivata al giorno 257 e si accavallano spinte e voci contrastanti sull’andamento del conflitto e su una possibile svolta nella crisi. Da una parte si aggrava la difficoltà di Kiev di fronte al continuo bombardamento di infrastrutture energetiche da parte della Russia, dall’altra la controffensiva su Kherson potrebbe accelerare a breve. Intanto, filtrano dettagli su mosse americane per avvicinarsi a un negoziato, mentre le elezioni di Midterm, con la probabile vittoria dei repubblicani, potrebbero accelerare il processo complessivo di riduzione del sostegno occidentale alla resistenza guidata dal presidente Zelensky.

Il leader americano Joe Biden starebbe infatti, lontano dai riflettori, cercando di convincere la leadership ucraina a negoziare con Mosca abbandonando il rifiuto difeso pubblicamente. Lo ha rivelato il “Washington Post”, citando “fonti vicine al dossier”. I vertici di Kiev, invece, continuano a sostenere che si siederanno al tavolo dei colloqui solo quando Vladimir Putin lascerà il potere. La spinta Usa servirebbe non tanto a costringere davvero l'Ucraina a trattare, cosa che sconfesserebbe questi otto mesi e mezzo di strenuo appoggio militare ed economico, ma sarebbe motivata dalla preoccupazione che la guerra possa sfociare in un conflitto nucleare e dai suoi effetti sull'economia mondiale. “La stanchezza sul conflitto è una realtà per alcuni dei nostri partner”, ha detto un funzionario americano citato dal giornale.

Complementari alle prime rivelazioni, ci sono quelle del ”Wall Street Journal”, secondo il quale il Consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan è stato impegnato negli ultimi mesi in conversazioni riservate con i principali collaboratori del presidente russo, nel tentativo di evitare un ampliamento del conflitto e per mettere in guardia Mosca circa l'eventuale uso di armi di distruzione di massa. Sullivan in particolare sarebbe stato in contatto con Yuri Ushakov, consigliere di politica estera del capo del Cremlino, e con la sua controparte diretta nel governo russo, Nikolai Patrushev.

Quanto siano pilotate queste indiscrezioni e quanto siano rilevanti i colloqui di cui si è data notizia non è facile da stabilire. Non va escluso che la Casa Bianca stia adottando una strategia su più piani e comunque mirata a mostrare alle opinioni pubbliche occidentali che la fermezza nei confronti dell’invasione russa non esclude un serio tentativo diplomatico e che la guerra non potrà durare troppo a lungo. Questi messaggi si sono infatti intensificati alla vigilia del voto per il rinnovo del Congresso americano.

Kevin McCarthy, leader dei repubblicani alla Camera, di cui potrebbe diventare speaker se il suo partito riconquistasse la maggioranza nelle urne dell’8 novembre, ha già fatto sapere che nel programma che metterà in atto dal primo gennaio ci sarà anche il controllo degli aiuti a Kiev e una serie di indagini sull'amministrazione Biden, senza escludere eventuali impeachment. “Sono un grande sostenitore dell'Ucraina ma penso che sia necessario introdurre verifiche. Non c’è bisogno di un assegno in bianco ma di garantire che le risorse vadano dove servono e che il Congresso abbia la capacità di dibatterne apertamente”, ha detto.

Una linea più trumpiana verso Putin, ovvero più “morbida”, è ciò che fa comodo anche a Mosca. Non a caso il fondatore del gruppo Wagner e stretto collaboratore del presidente Putin, Yevgeny Prigozhin, ha ammesso di aver cercato di orientare l’esito delle precedenti elezioni americane. E sul sito Internet della sua azienda Concord ha annunciato che è pronto a farlo di nuovo. “Abbiamo interferito, stiamo interferendo e continueremo a farlo”, ha scritto Prigozhin. L'uomo d'affari e “signore della guerra” è già soggetto a sanzioni proprio con l'accusa di avere contributo alla disinformazione alla vigilia delle presidenziali Usa del 2016.

La situazione resta complessa anche sul campo. L'Ucraina ha ricevuto nuovi sistemi di difesa aerea occidentali da Norvegia, Spagna e Stati Uniti. Sul fronte di Kherson ci si prepara a una spallata che potrebbe dare un importante vantaggio militare a Kiev, con la riconquista di una zona strategica chiave, “rubinetto” per l’acqua alla Crimea annessa da Mosca. Su questa base, si dice, Zelensky potrebbe anche intavolare colloqui con il nemico. Ma quest’ultimo potrebbe non essere per nulla disposto a farlo, malgrado le profferte ufficiali. Putin, secondo fonti indonesiane, non è più intenzionato ad andare al G20 di Bali. E punterebbe sulla linea bellica che ora sembra dare per lui risultati concreti.

Gli attacchi a obiettivi civili stanno mettendo in forte difficoltà la capitale e molte altre città ucraine. Le persone senza elettricità sono salite a 4,5 milioni, i black-out programmati continueranno per altre due settimane, se lo scenario non peggiorerà ulteriormente. La prospettiva di un inverno senza luce, acqua né riscaldamento potrebbe diventare un incubo per i tre milioni di abitanti di Kiev, tanto da fare pensare a una potenziale evacuazione, di dimensioni ancora da quantificare.

Se la Russia ha probabilmente esaurito la maggior parte delle sue scorte di missili (potrebbe avere oggi solo 120 Iskander, per esempio), con il sostegno iraniano sarà in grado di effettuare attacchi contro la popolazione ancora a lungo. Soprattutto se oltre al migliaio di droni Shahed-136, detti kamikaze, Teheran comincerà a fornire anche missili balistici come i Fateh-110 e gli Zolfaghar, che potrebbero mettere a dura prova la capacità contraerea degli ucraini. Attualmente il pur alto tasso di abbattimento non consente di proteggere le installazioni messe nel mirino. Tra il 27 ottobre e il 4 novembre, la Russia ha lanciato quasi 30 Shahed-136, il 40% dei quali è stato intercettato. Gli altri, fatti decollare di notte e con rotte sempre nuove, sono invece andati a bersaglio.

Solo ulteriori invi di armi occidentali a protezione dei cieli del Paese potranno impedire che la situazione della popolazione, già fortemente provata da 257 giorni di invasione, precipiti. Pressioni e sanzioni sull’Iran saranno inoltre decisive per evitare una saldatura completa dell’apparato bellico di Teheran con quello di Mosca. Le prossime settimane si annunciano quindi foriere di possibili cambiamenti nell’inerzia della tragica crisi che insanguina il cuore dell’Europa.

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