Tutti possono parlare di pace. Purché poi siano coerenti
mercoledì 23 febbraio 2022

Caro direttore, riguardo alla lodevole iniziativa di convocare vescovi e sindaci del Mediterraneo uniti per la pace proprio a Firenze, la città di un vero uomo di pace quale era il sindaco Giorgio La Pira, ritengo doveroso associarmi a quanto detto da don Martini, parroco fiorentino: «Sono perplesso e amareggiato per l’insensibilità del Comune che ha chiamato nel comitato promotore e come relatore l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti: come si può parlare di pace sulla scia di La Pira se poi si invita un uomo che è direttore della Fondazione Med-Or», voluta e istituita da Leonardo Spa, azienda leader nel campo degli armamenti? E poi gli accordi con la Libia di cinque anni fa: «Accordi che hanno creato lager di esseri umani di cui Minniti è corresponsabile».

Facendo eco a questo intervento, alcuni altri uomini di Chiesa della città, cattolici e laici, fiorentini e non, hanno dichiarato del tutto inopportuna questa presenza. Mi permetto di unirmi a queste persone perché ritengo indispensabile uscire dall’ambiguità: o si è per la guerra o si è contro. Se io mi occupo di armi, non posso parlare di pace: Se vuoi la pace prepara la pace e non come diceva l’imperialismo romano si vis pacem, para bellum. Tanto più in questi giorni in cui si profila all’orizzonte una guerra che tutti temiamo. Padre David M. Turoldo pregava accorato: «Ho capito, Signore. La pace non me la può dare nessuno. È inutile che speri. I governi, gli stati, i continenti hanno bisogno di pace anche loro e non ne sono capaci. E camminano tutti su strade sbagliate. Essi pensano che la pace si possa ottenere con le armi, incutendo paura agli altri stati e agli altri continenti. E intanto si armano, e studiano sistemi sempre più potenti e micidiali. Tutti vogliono essere forti. Dicono: solo un forte può imporre il rispetto e la pace. Come se la pace fosse un fatto di imposizione e non d’amore».

Luigi Giario


I due Forum di Firenze, quello ecclesiale e quello civile, sono occasioni non solo lodevoli, ma benedette. Credo che anche Giorgio La Pira, da lassù, sorrida contento che nella speciale città di cui è stato sindaco accada questo duplice evento di dialogo e di pace. Un dialogo vero come la vita, che non è mai solo pacifica. Per questo – vengo, gentile lettore, all’amara domanda (sua e non solo sua) che lei scandisce – è bene che tutti parlino di pace. Tutti possono farlo, anche coloro che la pace non l’hanno fatta. Anche quelli che «hanno fatto un deserto e l’han chiamato pace» ( Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant, in bellissimo latino suona anche questa parola forte – e forse autocritica – di Tacito). Sì, proprio tutti possono parlare di pace e di libertà e di giustizia, persino quanti hanno lasciato fare (e magari hanno anche speso quattrini perché si facessero) “lager” per migranti nel deserto libico all’odioso scopo di mantenere l’ordine in mare aperto e alla porta d’Europa. E io spero che parlino di pace e la facciano sul serio pure coloro che, da otto anni, e di più in queste ore, parlano di guerra e prima ancora la pensano, muovendo pedine in un risiko odioso sin dentro l’Ucraina. Tutti possono parlare di pace, caro Giario, anche Putin, anche Biden, anche Zelensky, anche Lukashenko, e anche l’ex ministro italiano anti-ong Minniti... purché ogni parola di pace si specchi, poi, in azioni e fatti coerenti. Fatti nuovi, ovviamente, e anche di onesta riconsiderazione delle scelte passate. O no? (mt)

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