giovedì 5 agosto 2010
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Baggio e Rivera. Cioè la rivoluzione dei numeri dieci, del genio sull’ordinarietà, della fantasia sul podismo, della tavolozza sul compasso. Per voltare pagina il pallone di casa nostra si affida ai solisti, persino solitari nel caso dell’ex «codino». Un po’ ingrigiti dall’esilio negli almanacchi, dovranno insegnare calcio per i campioni di domani. Cioè quello che hanno sempre fatto o, meglio, quello che non hanno fatto mai. Perché un conto è l’esempio sul campo, il dribbling impossibile disegnato sul prato verde, un altro sarà muovere pedine sulla lavagna, parlare di 4-4-2 e ripartenze. Eppure non saremmo pessimisti. Il calcio mondiale è pieno di campioni restati tali anche dietro una scrivania. Platini, altro numero 10, è presidente Uefa, Beckenbauer riassume in sé il calcio tedesco, a guidare la Federazione spagnola c’è l’ex mediano Ángel María Villar. E per un Maradona, un Dunga che falliscono, ci sono la panchina d’oro di Guardiola e la granitica serietà di Gigi Riva, storico dirigente azzurro. Dunque Roby Baggio riparte dalla presidenza del settore tecnico di Coverciano, Gianni Rivera da quella del settore giovanile-scolastico. Incarichi che intrecciano campo e burocrazia, tuta e doppiopetto, dietro ai quali si nasconde un solo obiettivo: ridare entusiasmo a un ambiente azzurro uscito nero, nerissimo, dai mondiali africani. «Il mio ruolo non l’ho capito bene neanche io», ha ammesso nei giorni scorsi Baggio, ma l’ha detto nel suo stile, sottovoce, forse per non inquietare troppo i nuovi compagni di viaggio. Per Rivera il discorso è diverso, e non solo in virtù della carta d’identità un po’ più ingiallita, 67 anni da compiere contro 43. Lui, l’«abatino», l’eterno «golden boy» o ragazzo d’oro che dir si voglia, la bacchetta da direttore d’orchestra l’ha impugnata sempre, prima in campo, poi in politica, fino agli scontri con la proprietà rossonera che non ne riconosceva il carisma. Ad accompagnarlo nel difficile e bellissimo mestiere di «maestro di pallone» ci sarà, un gradino più su, anche il pragmatismo spettacolare di Arrigo Sacchi nuovo coordinatore tecnico delle squadre nazionali giovanili mentre Demetrio Albertini resta vicepresidente della Figc. Un po’ di Milan negli anni del dominio interista, per restituire fascino e credibilità all’ambiente azzurro avvilito e ridimensionato dal fallimentare presente juventino. Ma il giro di vite disegnato da Abete, che resta al timone federale, pare destinato a togliere polvere ad altri monumenti calcistici. Potrebbero esserci incarichi dirigenziali anche per Paolo Maldini e Giancarlo Antognoni, quasi certamente per Antonio Cabrini, che sarà osservatore al servizio del commissario tecnico. Il calcio ai calciatori si potrebbe dire oppure la fantasia in vetrina. Il rischio è che sia solo un’operazione «mediatica», di facciata, l’augurio è che tanti ex campioni portino una ventata di entusiasmo e novità. A proposito, domani Prandelli (auguri!) diramerà le sue prime convocazioni da ct della nazionale azzurra. Dovrebbero esserci anche Cassano e Balotelli. I soli fuoriclasse, quantunque da disciplinare, che possediamo, un patrimonio di estro e inventiva su cui puntare, sperando che un giorno diventino i nuovi Baggio, i nuovi Rivera.
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