venerdì 24 ottobre 2008
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Soprattutto nell'imminenza di un voto, sono le immagini e le parole semplici (per non dire semplificate) a poter sedurre gli elettori. Negli Stati Uniti, a dodici giorni dall'Election Day, si parla di torte. La prima torta, dalla quale dipende l'orientamento decisivo di un elettorato incline da sempre a «votare con il portafoglio», e oggi ossessivamente attento ai temi economici, la prima torta, dicevamo, è quella immaginata dal candidato repubblicano alla presidenza John McCain, che nell'accusare nuovamente il rivale democratico Barack Obama di essere «socialista» (parola che a Washington suona come «comunista»), gli ha imputato il proposito di tagliare la torta della ricchezza in parti uguali o quasi anziché farla crescere. Pronto e pungente come quasi sempre, Obama ha replicato: «Negli ultimi anni la torta si è ridotta, e se la sono mangiata i ricchi. Io vi prometto una torta più grande, con una fetta per ogni americano». Nessuno può dire quanto abbia pesato sugli iscritti al voto questo "effetto torta", tuttavia sembra che, nel clima di paura determinato dal disastro finanziario e dall'attesa di recessione, la ricetta di Obama sia piaciuta di più, facendo crescere rispetto alle elezioni precedenti il numero dei democratici che votano in anticipo (torneremo su questo punto) e facendo aumentare su scala nazionale il favore per Obama. Questo dicono le rilevazioni degli istituti specializzati, che delineano giorno per giorno, persino ora per ora, quella che chiameremmo la seconda, appetitosa e insieme problematica torta dell'elezione: di qua stanno i democratici, di là i repubblicani, in mezzo gli indecisi. Divisi in tre fette che variano a vista d'occhio, risultando relativamente attendibili eppuire in grado di influenzare: nessuno sa in quale esatta misura, ma l'influenza è certa, chi va a votare. Così infatti si alimentano almeno due note tendenze: quella di «saltare sul carro del vincitore» in vista del traguardo e quella (uno spauracchio per la squadra di McCain) di rinunciare al voto se si dà per scontata la vittoria dell'avversario. Quanto ai dati più recenti, si può mettere in risalto il fatto che il candidato democratico alla Casa Bianca sarebbe in testa anche in tre Stati-chiave: Florida, Ohio e Pennsylvania. Ma quel «sarebbe» è da sottolineare, perché la notizia nasce dai sondaggi, gli stessi che a maggioranza sino all'altro giorno hanno dato Obama in vantaggio progressivo, sino ad avere dodici punti più del rivale, ma poi sono stati contraddetti da un sondaggio condotto da una importante agenzia di informazione secondo il quale lo scarto fra i due rivali sarebbe di un solo punto. Insomma, prudenza con le torte, e con le fette, che sarà bene misurare dopo il quattro novembre. Anche perché vengono sottaciuti due aspetti singolari, dalle conseguenze difficilmente calcolabili. Il primo è che il quattro novembre almeno un terzo degli elettori avrà già votato, per posta o nei seggi aperti quasi ovunque. La legge lo consente, e i voti verranno scrutinati dopo la chiusura di tutti i seggi, ma è già possibile sapere quanti democratici e quanti repubblicani si sono espressi in anticipo, perché per poter votare bisogna registrarsi come democratici o repubblicani o indipendenti. L'altro aspetto singolare di questa elezione sta nella sicumera con cui i media statunitensi danno per scontata la vittoria di Obama, e la sconfitta di McCain il quale, per esempio secondo la Nbc, «non può più recuperare». Probabilmente prevedono giusto, ma il sapore della torta, quando si elegge il presidente prima degli elettori, può risultare sgradevole.
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