Trap, un fischio e la fede il buon calcio non invecchia
domenica 17 marzo 2019

Gli 80 anni di un allenatore simbolo, semplice, diretto e vincente Per i giovani millennials, la trap è un genere musicale che va per la maggiore, per noi nati sotto il segno dei calcio di poesia, Trap è il nomignolo di un maestro di campo: Giovanni Trapattoni. Oggi il Trap taglia il traguardo degli 80 anni. L’ho intervistato e ascoltato tante volte, al punto da considerarlo, come molti della mia generazione, uno “Zio” (Beppe Bergomi ci perdoni). Il gran “Giuan” da Cusano Milanino, lo zio d’Italia o il nonno degli Zaniolo e i Chiesa, ragazzi in gamba che se fosse ancora lui il ct azzurro convocherebbe assieme al vecchio Quagliarella, proprio come fa il Mancio. Ma il Trap è soprattutto il nonno di Riccardo, il nipote che lo ha lanciato nella grande Rete.

Trapattoni infatti ha un suo profilo, seguitissimo, su Instagram. E lì nello smartphone, oltre al quotidiano di nonno Giovanni, si ripercorrono anche le tappe della sua lunga e gloriosa storia calcistica. La storia di un italiano vero. Un uomo che ha cresciuto e formato intere generazioni insegnando come primo comandamento: «Non dire gatto, se non l’hai nel sacco». La sua dialettica pane e salame ha conquistato il mondo. In età pensionabile (in era prequota 100) si rimise a studiare il tedesco per allenare il Bayern Monaco dei vari Strunz. Anche la cancelliera Merkel ride ancora al ricordo dell’esilarante conferenza stampa trapattoniana che si chiudeva con un maccheronico «hich habe fertig...», tradotto «sono finito», al posto di «ho finito». La sua carriera di calciatore si chiuse dopo una vita da mediano stoppando clamorosamente Pelè e salendo sul tetto del mondo con il Milan di Nereo Rocco, quando – esattamente cinquant’anni fa – alzò al cielo la Coppa Intercontinentale. Da stratega della panchina ha conquistato 10 titoli con lode, passando per eroe nazionale in quattro Paesi (Italia, Germania, Portogallo e Austria). È l’unico allenatore in circolazione ad aver conquistato tutte le competizioni Uefa. Il più amato dall’Avvocato e da “Le Roi” Platini. È stato un grande uomo-Juve certo, ma ha anche vinto lo scudetto dei record con l’Inter e il suo cuore è rimasto rossonero, perché è lì che ha assaporato il calcio di poesia.

«Nel ’54 a un torneo internazionale con il Milan, a Strasburgo per la prima volta vidi le cicogne. Il mio stupore, la continua voglia di conoscere e di confrontarmi con altre culture parte da lì e devo dire grazie a un pallone». La curiosità del Trap, è la risorsa che conserva intatta anche da 80enne, la marcia in più che l’ha portato a cercare la poesia e la storia di cuoio in ogni angolo della terra, camuffandosi anche da turista per caso sulla spiaggia di Copacabana, Mundial 2016, con il suo fraterno amico telenarratore Bruno Pizzul. L’altra faccia della sfera l’ha vista e l’ha intristito. «La tristezza è stata la violenza degli ultrà che impedivano l’allenamento o trovarsi a giocare in stadi in cui appena uscivi fuori toccavi con mano la miseria. Succedeva fino a ieri, appena dopo il confine con l’Est d’Europa. Ma lo strazio e il senso di impotenza l’ho provato dinanzi alla fame e la sete dell’Africa».

Il Trap è un antropologo del football. Un educatore come lo è stato il suo primo maestro, Cina Bonizzoni, e poi Gipo Viani. «Maestri di vita prima che di calcio: ci lasciavano sotto la guida di un pedagogo, Bottani, con il quale andavamo a visitare la pinacoteca di Brera. C’era più tempo per vivere e stare a contatto con il tessuto sociale, oggi i giocatori sono blindati rispetto al resto della società, pressati dal dover apparire a tutti costi solo per ragioni di sponsor ». Più soldi, più showbiz, meno cultura. Contro tutto questo fischia ancora più forte il Trap. Quel fischio da pastore di squadre è il suo idioma universale. Un mantra, un rosario da recitare, acquasanta d’ampollina, come quella che gli regalò sua sorella, suor Romilde, prima del Mondiale di Corea-Giappone 2002.

Senza i magheggi del criminoso arbitro Moreno forse quella Nazionale gli avrebbe regalato l’unico titolo mondiale che oggi manca alla sua ricchissima bacheca domestica. Ma non è da questo particolare che si giudica un allenatore come il Trap. Un uomo dalla fede incrollabile. «Io dico sempre che sulla mia spalla viaggiano degli angeli custodi: sono i miei genitori che da lassù mi guidano verso gli incontri con le persone giuste». Un uomo che crede nel bene: «A tenermi lontano dal male ci pensa 'Uno' lassù che sa guidare tutti gli uomini anche senza dover fischiare come me». Altri ottanta, anzi, cento anni ancora, caro vecchio Trap.

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