giovedì 10 luglio 2014
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Più aumenta la complessità dei sistemi sanitari, e più l’attenzione finisce per concentrarsi sulla sostenibilità economica e sul problema dei costi (lo dimostra anche l’impostazione del Patto per la Salute 2014-2016 che Stato e Regioni hanno firmato il 3 luglio e che oggi sarà ratificato dal governo). L’atteggiamento è ben comprensibile, ma bisogna pur dire che lascia sullo sfondo una questione centrale – quella per cui i sistemi sanitari esistono – e cioè la tutela dei diritti dei malati, prima, durante e dopo le cure. Da qui la crescita delle disuguaglianze, e il rischio che la dimensione economica e quella burocratico-organizzativa soffochino la dimensione etica e umana.Ma quali sono le caratteristiche principali delle crescenti disuguaglianze nel campo della salute? Una modalità classica ha a che vedere con la collocazione socio-economica degli aventi diritto, in termini di posizione occupazionale, genere, età, territorio ed etnia. Dati recenti mostrano che le diseguaglianze nei tassi di mortalità per posizione sociale sono marcate e ulteriormente in crescita. Il che conferma di fatto la persistenza dell’obsoleto (e che si sperava da tempo superato) modello di cittadinanza basato sul censo. Le posizioni di privilegio costituiscono insomma, se non un criterio formale, certamente un formidabile facilitatore rispetto al benessere generale delle persone e delle famiglie, ma anche rispetto all’accesso alle cure, alla loro tempestività e appropriatezza, e dunque alla durata e alla qualità della vita.Un secondo importante aspetto riguarda proprio l’impatto delle politiche volte a salvaguardare la compatibilità economico-finanziaria e la efficienza gestionale dei sistemi sanitari, obiettivi perseguiti con tutto il bagaglio di strumentalità mutuate dal mondo dell’impresa e della economia aziendale (dalla definizione dei livelli minimi e massimi di assistenza, alla "spending review", alle politiche di rientro di bilancio). È ormai dimostrato che in molte situazioni questi interventi e queste tecniche di gestione contribuiscono alla negazione di diversi diritti. Spostamento dei costi delle prestazioni sulle famiglie (attraverso ticket, "intramoenia" e tempi di attesa inaccettabili), contrazione dell’offerta di servizi nelle Regioni sottoposte a piani di rientro, spesa completamente out-of-pocket (ovvero di tasca propria) sono tasselli di un mosaico che negli ultimi anni ha finito per accentuare le diseguaglianze già in essere. Si pensi soprattutto alle differenze crescenti in termini di dotazione territoriale di strutture e servizi tra Regioni, e alla diversa qualità dell’offerta che emerge anche dalla soddisfazione dei cittadini nei vari territori amministrativi. La stessa mobilità sanitaria interregionale certifica le diversità, e mostra come si tenda a correggerne spontaneamente gli effetti perversi della diseguaglianza con "migrazioni" mirate.In terzo luogo, la crescita di consapevolezza rispetto alla qualità della vita e delle cure, alla importanza della promozione della salute e della prevenzione nonché della riabilitazione e del reinserimento attivo hanno contribuito a portare alla luce tutte queste  disuguaglianze anche da un punto di vista relazionale e comunicativo. Le evidenze della ricerca empirica a questo proposito sottolineano la presenza di lacune e disuguaglianze squisitamente culturali, legate al digital divide (cioè agli squilibri nell’uso degli strumenti di informazione, comunicazione e ascolto sociale), alla consapevolezza rispetto agli stili di vita, alla responsabilità degli operatori. In periodo di crisi, poi, si registra una particolare tendenza a sorvolare su aspetti fondamentali, quali la mediazione e lo scambio interpersonale tra operatori e pazienti, il rispetto della dignità e della volontà della persona e dei suoi familiari, la informazione empatica, la considerazione del contesto di vita e degli aspetti psicologici della malattia.Qualunque ne sia la causa, e qualsivoglia ne siano le caratteristiche, il tentativo di ristabilire il dovuto rispetto dei diritti dei malati in sanità (e, dunque, di superare l’iniquità sociale e i privilegi nell’acceso al welfare) dovrebbe partire da una azione di revisione e miglioramento del rapporto tra domanda e offerta a tre livelli. Il primo è il livello interpersonale, quello del concreto dispiegarsi del rapporto tra individuo e operatori e tra individuo e strutture sanitarie. Il secondo è il livello della effettiva organizzazione dei servizi, all’insegna di un rispetto della persona che deve diventare modalità di gestione, basata sulla appropriatezza, la regolazione equa degli accessi e la formazione degli operatori. Il terzo e ultimo è il livello politico-istituzionale del rapporto tra sistema di welfare, contesto generale e altre politiche, nel quale bisogna preoccuparsi delle compatibilità tra salute, cultura ed economia, dei ruoli istituzionali da coinvolgere, e dei servizi preventivi, riabilitativi e di cura a lungo termine sul territorio.
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