mercoledì 7 agosto 2019
Tempo di propiziare la crescita culturale
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Caro direttore,

con l’analisi di Elisa Manna di mercoledì 31 luglio 'Avvenire', dopo aver ricordato che dal 1954 la televisione era stata un formidabile strumento educativo e unificante del Paese, opportunamente ed efficacemente ha riproposto il problema del piccolo schermo come principale strumento della disgregazione del tessuto sociale dell’Italia. La tv aveva avuto anche il merito di contribuire all’unificazione linguistica. Poi, dagli anni Ottanta, è diventata strumento di disintegrazione. Sarà forse bene notare che dal suo inizio, e per alcuni decenni, questo mezzo ha favorito un modello culturale che privilegiava l’istruzione e l’erudizione, ma mettendo, per lo più, in secondo piano l’essenza della cultura. E notare anche che il passaggio dalla sola tv pubblica alle tv private fu giustificato con la necessità di dare voce alle culture locali. La conseguenza è stata che, diventando commerciali, le tv private hanno riversato sempre più una cultura, per così dire, globalizzata sulle culture locali, comprimendole o addirittura sopprimendole.

Abito in un luogo che tutto il mondo ammira: l’isola di Capri. Qui, nei mesi scorsi, tutti i giorni, per lo più a sera, ma talvolta anche durante la mattinata, mi sono sintonizzato, a mano a mano, per qualche minuto, su una decina dei più noti e seguiti canali tv (sempre gli stessi). Non c’è mai stato un giorno in cui, tra pubblicità che non mi attraevano, non ci sia stata almeno una scena di uccisione, e almeno alcune scene di violenza o di preparazione alla violenza. Quasi mai c’è stata una scena di grazia. Quelle di bellezza erano i documentari di arte e di viaggi. Fuori c’era spesso limpida luce e altro vivere da cui cercava di distogliere quel che veniva dallo schermo. Come aveva detto Arthur Schopenhauer, qualche giorno prima della sua scomparsa, le culture locali avevano contribuito a far grande l’Italia, che con esse tanto aveva dato a gran parte dell’Europa. Dal tempo dell’unificazione esse avevano cercato di non rendere «confuso e livellato» il tessuto sociale, come aveva temuto Schopenhauer. Ma ora questo tessuto, disintegrato sempre più dalla tv, anche con la stessa tv viene sostituito con quello dell’utilitaristico sistema tecnologico-industriale.

Attraente è la speranza del ricominciare dal basso, con la quale Elisa Manna conclude l’articolo. Purtroppo la società nella quale siamo non fa più crescere alberi affinché diano frutti alle generazioni seguenti, ma li fa crescere affinché, anche contro natura, diano subito frutti, prima di diventare sterili o di essere addirittura abbattuti. Stando così le cose, il problema fondamentale è come parte almeno dell’attuale società possa piantare e poi curare e tutelare nella loro crescita nuovi alberi, in un tempo in cui il dinamismo del mondo tecnocratico tenta di distruggere la stessa fede, che deve essere quotidianamente riconquistata.

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