Scienza solidale preziosa a chi riceve e a chi dà per superare i limiti
giovedì 16 aprile 2020

Caro direttore, l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo sta cambiando il volto non solo delle nostre città ma anche del nostro servizio sanitario. Nelle regioni più colpite c’è una corsa contro il tempo per aumentare i posti letto delle terapie intensive; nelle altre ci si sta attrezzando per fronteggiare un emergenza che si spera non si debba mai affrontare. Anche gli ospedali stanno cambiando il loro volto: ho fatto la notte nel mio ospedale romano e per la prima volta ho visto decine di posti letto vuoti, le sale operatorie semi deserte, gli ambulatori sono chiusi, gli accessi al pronto soccorso ridotti al minimo.

Tutto ciò mette in luce come, oltre all’emergenza clinica creata dal coronavirus, ci sia un’altra emergenza di cui si parla molto meno ma non per questo meno grave: non ci si cura più, si saltano i controlli, non si sa a chi rivolgersi, diventa complicato anche avere una ricetta, fare la analisi, controllare le tante patologie croniche di cui, la nostra popolazione, grazie alla longevità di cui godiamo, è affetta. Non sono pochi i pazienti che, anche se colpiti da patologie serie, hanno paura di rivolgersi al Pronto soccorso o vi giungono quando è ormai troppo tardi. Riappaiono nelle corsie degli ospedali quadri clinici devastanti, peggiorati solo per il ritardo con cui ci si è rivolti al medico con complicanze che potevano essere benissimo evitate se trattate in tempo.

Come rispondere a questa domanda? Specialmente negli ultimi giorni c’è un gran parlare di servizi di telemedicina. Ovviamente questi servizi non sono la soluzione ad ogni problema sanitario ma a mio avviso possono sicuramente offrire risposte importanti all’emergenza che stiamo vivendo. Si sono moltiplicate in queste ultime settimane App e diverse soluzioni tecnologiche che permettono di controllare a distanza i parametri clinici di chi è malato permettono anche di mappare, per quanto possibile, le vie di contagio. Sono quasi tutte soluzioni rivolte giustamente a pazienti Covid- 19 positivi seguiti al domicilio o in quarantena. Ma la telemedicina potrebbe essere uno strumento utilissimo anche per la cura e la sorveglianza sanitaria di tutti gli altri che, fortunatamente, sono la stragrande maggioranza. Da oltre 15 anni mi occupo di realizzare servizi di telemedicina nel campo della cooperazione internazionale. Con la Global Health Telemedicine abbiamo aperto 41 centri di telemedicina in Africa in Perù e Brasile a cui rispondono 200 medici italiani volontari afferenti a 21 specialità mediche. Con il servizio creato abbiamo risposto a più di 12.000 teleconsulti dando indicazioni diagnostiche e suggerimenti clinici a migliaia di pazienti che vivano in luoghi con un sistema sanitario ai minimi termini.

Oggi, con la nostra emergenza sanitaria, questa rete è stata resa velocemente disponibile per i nostri pazienti romani che si trovano in una condizione simile a tanta gente del nostro pianeta che, per motivi diversi, non può accedere al servizio sanitario. Potremmo dire che è una storia al contrario. La piattaforma tecnologica, la rete di medici e volontari ideata per i Paesi in via di sviluppo diviene oggi una ricchezza anche per noi. Un servizio di telemedicina non si improvvisa, e l’esperienza di anni di chi ha lavorato unendo tecnologia, scienza, salute e un pizzico di creatività ci ha permesso di realizzare un modello organizzativo e di prossimità attraverso il quale si può essere vicini a distanza.

Non è forse questa la sfida che siamo chiamati a vivere? Ciò che era stato pensato e ideato per centri sanitari di Paesi lontani è improvvisamente divenuto una ricchezza anche per noi: quasi un insegnamento evangelico di chi raccoglie ciò che altri hanno seminato. È il segno di una mondo globalizzato, che oggi più che mai, per colpa di un minuscolo virus, scopre di avere un destino comune: non ci si salva da soli, alzando muri, barriere ma condividendo e investendo le nostre ricchezze. Grazie all’esperienza africana si è potuto realizzare con la Comunità di Sant’Egidio e in pochi giorni un servizio di telemedicina per la città di Roma rivolto principalmente a chi, anche per la condizione di fragilità, non riesce ad accedere ai servizi sanitari. Nel settembre scorso, papa Francesco, nel corso della sua visita apostolica in Mozambico, visitando il centro Dream di Maputo si è soffermato a lungo nella stanza della telemedicina; si è informato sull’organizzazione del servizio, sulle apparecchiature utilizzate, ha voluto sapere come funziona in concreto questa rete di prossimità che accorcia le distanze e porta salute. Poco dopo, nel suo discorso, ha parlato del valore della telemedicina: «Il programma, che avete sviluppato e vi ha collegato con altri luoghi del mondo, è un esempio di umiltà per aver riconosciuto i vostri limiti, è un segno di creatività per lavorare in rete».

Nel giro di poche settimane anche i nostri limiti italiani si sono palesati improvvisamente e quello che ci sembrava normale, un diritto acquisito come la cura, è diventato qualcosa di difficilmente raggiungibile. Ci siamo scoperti tutti più fragili, spaventati, forse più poveri e bisognosi. I servizi di telemedicina possono rappresentare una rete di prossimità che contribuisce a superare alcuni di questi limiti. La tecnologia, internet, il nostro mondo interconnesso è oggi una grande chance per poter far crescere servizi di telemedicina che, a mio avviso dovrebbero moltiplicarsi molto di più. Oggi è il momento dell’unità, della coesione, del lavorare insieme. I servizi di telemedicina possono essere un modo attraverso il quale il nostro Sistema sanitario si fa prossimo ai bisogni dei cittadini. È possibile, la tecnologia c’è, bisogna solo metter insieme le risorse umane, coordinarle, creare dei nuovi percorsi assistenziali, che prevedano più elasticità nei trattamenti, che poi si tradurranno in migliori servizi per tutti. Ma la telemedicina, è bene ricordarlo, è soltanto uno strumento: al centro c’è sempre il paziente, e c’è il medico. Oggi quasi tutti sanno usare uno smartphone o hanno un amico, un figlio, un nipotino, una badante che attraverso un display potranno comunicare con un infermiere che magari li potrà mettere in contatto con uno specialista, solo per citare un modello organizzativo ormai ampiamente rodato. Potremmo dire che, in un certo senso, la telemedicina è uno strumento di intercessione, che ci permette di raggiungere chi è lontano facendoci sentire più vicini, meno soli, meno spaventati. Una delle grandi malattie di questo tempo, accentuate ancor di più dal questa epidemia, è la solitudine che, in un certo modo – e lo dico da medico – è un amplificatore di molte malattie. Lo so, la telemedicina non è una soluzione sempre attuabile, ma sicuramente crea una breccia in quel muro di isolamento dietro il quale molti, oggi più di ieri, si trovano a vivere. Magari oltre a curare molte patologie aiuterà anche un poco a sconfiggere la malattia della solitudine. Non è poco.

Responsabile Telemedicina Ospedale San Giovanni di Roma

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