domenica 18 marzo 2012
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Di fronte al deficit di conoscenza diffusa, dovuta ai numeri di carattere geologico, geografico, economico, sparati e contraddetti nel corso di infuocati dibattiti sulla progettata ferrovia in Val di Susa, fra chi si schiera da una parte e chi dall’altra, con frequente ricorso all’uso improprio delle categorie antinomiche amico-nemico, razionalità-barbarie, amore-odio, pace­guerra, assolutezza-negoziabilità delle proprie posizioni, verità-bugia, buonafede-malafede, è legittimo e prudente ritenere di non saperne abbastanza per fare scelte di campo irrevocabili.Che fare allora, da semplici cittadini che non hanno tempo e competenze per leggere lunghi dossier e per ricordare migliaia di dati? C’è chi ha sostenuto che il problema è «solo tecnico» e che in quella sede va risolto. Di fatto però i tecnici, che fra l’altro appartengono a diverse scuole e specializzazioni, non si mettono facilmente d’accordo, sicché la responsabilità di scegliere il da farsi dipende in ultima analisi dai politici: questi sono eletti proprio per informarsi il meglio e il più onestamente possibile e per decidere, ossia 'tagliare', talora con qualche dubbio, ciò che si ritiene meno importante, in nome di ciò che si ritiene più importante, nella prospettiva del bene comune. Poiché però i politici possono essere incompetenti o frettolosi, o distratti, o interessati pregiudizialmente a una determinata soluzione, è giusto che ci sia una corretta interlocuzione fra cittadini e politici, ai diversi livelli rappresentanza (e anche di conoscenza e di sensibilità circa i problemi da risolvere), assistiti dai tecnici di fiducia dell’una o dell’altra parte. L’interlocuzione può andare per le lunghe, come nel caso pluridecennale della Tav: accade allora che coloro che sono o si ritengono i più penalizzati dalle decisioni profilate in sede politica, si ribellino, invocando la ragione, la competenza, tutto ciò che è alternativo alle scelte prospettate in sede decisionale. Si giunge a evocare la natura contro la legge, tanto che ricompaiono sulla scena le figure di Antigone, di Socrate, di Gesù, di don Milani, per argomentare il diritto di resistenza, di rifiuto della legge e perfino di ricorso alla violenza contro le forze dell’ordine. Coloro che protestano vedono lo Stato come titolare di un potere arbitrario, espressione d’incompetenza, malafede e torbidi interessi; e vedono se stessi come cittadini danneggiati, offesi e vilipesi. Un leader del movimento "No Tav" ha paragonato la polizia alle truppe naziste. Ha parlato con tono di sfida del «cittadino Monti», come se non fosse anche il legittimo titolare del potere di governo; e ha detto che la sua comunità in rivolta avrebbe deciso di «far impazzire» tutti coloro che solidarizzano con chi rappresenta lo Stato. Dalla discussione si è passati alla protesta e da ultimo a veri episodi di tragicommedia. Si è perso di vista il disegno della Costituzione, secondo il quale «la sovranità appartiene al popolo», che però «la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» (art.1). I diritti inviolabili dei singoli e delle loro formazioni sociali, e le autonomie locali, non sono in contrasto insanabile con la nazione, anche se le opinioni possono radicalmente divergere. «Ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione» (67). «I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della nazione» (art. 98). Una volta che siano responsabilmente assunte, nelle sedi legittimate a farlo, scelte strategiche, resta legittimo continuare a esprimere dissenso, ma non si potrà rivendicare un diritto di resistenza a oltranza, allo scopo di impedire fisicamente l’esercizio dei poteri che la Costituzione affida al Parlamento, al Governo e alla Magistratura della Repubblica. Poiché le situazioni evolvono e i ministri cambiano, un Governo responsabile deve valutare se non sia opportuno riaprire un’onesta e utile interlocuzione con gli oppositori, per coglierne eventuali idee valide. Poi bisognerà che democrazia e diritto si facciano valere a livello nazionale ed europeo, argomentando ma anche facendo rispettare le scelte fatte. Il disobbediente don Milani accettò la condanna in base a una legge che riteneva ingiusta, contribuendo a modificarla con la sua testimonianza. È stato fedele alla sua affermazione, secondo la quale «sortirne da soli è l’avarizia, sortirne insieme è la politica». È stato scritto che le Costituzioni sono strumenti che i popoli si danno quando sono sobri, per avvalersene quando sono ubriachi. È una riedizione della metafora di Ulisse che si fece legare per poter ascoltare le sirene, senza farsene travolgere. I padri costituenti hanno legato anche noi con l’art. 54: «Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge».
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