venerdì 12 novembre 2010
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Ci può essere giustizia, anche quando sono i giornalisti a giudicare dei propri comportamenti e delle lesioni che infliggono al delicato ed essenziale patto di lealtà che li lega a chi legge i giornali, ascolta i gr e guarda i tg. E anche quando questo giudizio rischia di essere intossicato da valutazioni che con la sostanza dei fatti non c’entrano (o c’entrano solo relativamente), ci può infine essere giustizia. Ieri, questo ha detto la sentenza definitiva dell’Ordine dei giornalisti sulle falsità contro Dino Boffo, allora direttore di Avvenire, scritte e fatte scrivere in prima pagina per nove giorni filati (tra il 28 agosto e il 5 settembre 2009) più uno (7 settembre 2009) da Vittorio Feltri, allora direttore del Giornale. Alla fine, il Consiglio nazionale dell’Ordine si è diviso esattamente a metà tra chi avrebbe voluto sanzionare un po’ di più (6 mesi di sospensione dall’esercizio della professione) e chi avrebbe voluto sanzionare un po’ di meno (3 mesi di sospensione) la scorrettezza professionale e deontologica commessa da Feltri. Alla fine, neanche un’astensione, neanche un voto per l’assoluzione: cento per cento del Consiglio per il riconoscimento della colpa, per la quale l’autore si era tardivamente (e malamente) scusato con Dino Boffo, grande giornalista e galantuomo.Questa corale sanzione del misfatto è un segnale salutare e di assoluto rilievo perché in una fase confusa e acre della storia del giornalismo italiano, dà fiducia a tutti noi che siamo tenuti a dare liberamente notizia dei fatti che accadono e torna a metterci – con tutta la necessaria chiarezza – di fronte alle nostre inderogabili responsabilità di correttezza. Ed è pure una decisione eloquente al cospetto dell’intera opinione pubblica, perché rassicura i lettori–ascoltatori–spettatori che liberamente scelgono a chi affidarsi per ricevere notizie e formarsi opinioni nel variegato panorama dei mezzi d’informazione italiani. Garantisce i nostri concittadini su una riaffermata capacità della nostra categoria giornalistica di sfuggire – alla fine, ma per solido principio – alle logiche corporative dell’auto–tutela e del cinismo politicante. Questo conta, tutto il resto sono chiacchiere. Non sono state giudicate le idee di qualcuno, ma i suoi atti. E la gravissima scorrettezza commessa dal direttore e cronista Feltri è stata sancita. Chi, come noi, crede nella giustizia e non nella vendetta ne è lieto. Chi, come noi, crede in un’informazione onesta e libera, cioè rispettosa della verità dei fatti e della vita delle persone, può persino azzardarsi a esserne orgoglioso.
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