lunedì 24 settembre 2012
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Caro direttore,
è passato via quasi nascosto tra gli eventi della Mostra internazionale del cinema di Venezia. Eppure il film-documentario del registra veneto Carlo Mazzacurati "Medici con l’Africa", che racconta con un’empatia straordinaria la storia del Cuamm, cioè di 60 anni di cooperazione sanitaria della più antica Ong italiana, proiettato fuori concorso il giorno dell’apertura della Mostra e che ho avuto la gioia di vedere insieme a una platea peraltro gremita, meritava davvero di essere maggiormente considerato dai mass media. Mazzacurati ha infatti colmato una distanza, quella tra "noi" e "loro", tra i ricchi del Nord del mondo e i poveri del continente più povero e dimenticato, con un film che rifugge da quel sentimentalismo un po’ facile, sempre in agguato quando si tratta di ripercorrere un rapporto che spesso ci fa vergognare. Il Cuamm, acronimo di Collegio universitario aspiranti e medici missionari, ha tessuto 60 anni di legami tra Italia e Africa.
 
Nel 1950, il 9 maggio, il ministro degli Esteri francese Robert Schuman rese pubblica la celebre dichiarazione che avrebbe costituito la base della futura unità europea. In essa, tra gli obiettivi dell’integrazione europea, venne inserito, precorrendo i tempi, quello dello sviluppo del continente africano. Proprio in quello stesso anno, a testimonianza della profeticità dei fondatori, a Padova nasce il Cuamm, con lo scopo di formare medici per i Paesi in via di sviluppo. Oggi è presente in 7 Paesi africani con 80 operatori i quali seguono 37 progetti di cooperazione sanitaria. Ma in 60 anni sono più di mille le persone che hanno prestato servizio con il Cuamm. Medici "con" l’Africa e non "per" l’Africa, perché insieme agli africani hanno condiviso eventi politici, sociali, religiosi, dal processo di decolonizzazione alle indipendenze dei Paesi fino ai drammi attuali di una neocolonizzazione del mercato, che ha posto sullo scenario la tragedia della rapina da parte dei ricchi, non solo delle materie prime del continente africano, ma anche lo scippo della vita e della salute delle popolazioni africane. Lo sguardo di Mazzacurati ha la forza della qualità umana e del rigore. Racconta un diritto, quello alla salute, considerato fondamentale dalla Costituzione italiana. Ma mette in fila anche la forza della buona cooperazione, quella che non prevarica, quella che accompagna e accoglie, quella che rispetta le culture.
 
Il film raccoglie in modo accattivante e coinvolgente testimonianze e storie di vita, senza retorica alcuna, facilitato dalla circostanza che i direttori del Cuamm, per mezzo secolo don Luigi Mazzucato (festeggiatissimo a Venezia) e oggi don Dante Carraro sulla sua scia, sono persone che lasciano proprio poco spazio alla retorica. I cosiddetti "ultimi della fila" dello scenario mondiale sono i protagonisti del film semplicemente perché qualcuno ha deciso di occuparsi di loro. Non sono eroi i medici del Cuamm. Sono forse tra i nostri migliori cittadini, che hanno scoperto l’attitudine (e a volte anche la felicità), nonostante tutto e a dispetto delle fatiche, di spendersi per il diritto alla salute e lavorare, nelle aree più isolate e marginali, all’impresa di costruire una rete per l’accesso ai servizi sanitari di base e di lasciarla in dono alle strutture pubbliche dei Paesi dove operano. A Mazzacurati e alla sua équipe vada il mio plauso per aver saputo raccontare anche quanta strada c’è ancora da fare. Si vede che il regista è stato sedotto dalla storia degli uomini e dalle donne del Cuamm. Spero che il suo film circoli, e seduca un po’ tutti noi.
Renato Balduzzi, Ministro della Salute
 
 
 
Sono totalmente d’accordo con lei, caro ministro Balduzzi. E sono contento che i lettori di Avvenire – grazie all’ampia anteprima che abbiamo dedicato il 28 agosto al film di Carlo Mazzacurati – siano tra quelli che sono riusciti a sapere di un fim davvero bello sulla bellissima storia del Cuamm. Una storia cristiana che continua: segno buono in questo nostro tempo che ha bisogno di conoscere e riconoscere le vie che conducono verso un futuro più umano e più giusto.
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