martedì 6 settembre 2011
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Caro direttore,ogni volta che varco la soglia del nostro coro, grande abbraccio di legno simile a una croce in volo, una croce che ascende verso l’alto già preannuncio possente della risurrezione, ogni qualvolta il pavimento di legno cede scricchiolando sotto il mio passo, assaporo il silenzio di un mondo che attorno a me pullula di vita eppure pare come assopito dentro il suo stesso movimentoso andare. Che luce allora mi invade! Che segreta speranza cela la nostra vita nascosta eppure sollecita tra faccende di casa e grandi imprese, lunghi ascolti dei cuori degli uomini e solitudini improvvise, che segreta speranza quella di fissare lo sguardo nel Santissimo Sacramento. Ogni giorno è per me una pagina di Eliot: La Rocca. Colei che veglia. / La Straniera. / Colei che ha visto cosa è accaduto. / Colei che vede ciò che accadrà. / La Testimone. / Colei che critica. / La Straniera. / La visitata da Dio, e nella quale è innata la verità.Adorare comincia qui, dentro un incontro col Mistero, dentro la consapevolezza che la vita, quella vera, va oltre gli orizzonti quotidiani, ma si dibatte là più in alto, dove solo chi sta arroccato come sentinella può davvero vedere. La Rocca, la straniera, la visitata da Dio, la luce splendida della verità è per me l’Eucaristia. L’adorazione eucaristica non è una devozione, una pia pratica equivalente alle molte, anche belle e lodevoli, che la Chiesa offre ai suoi fedeli. L’adorazione è la condizione eterna dei beati. Là dove vedremo faccia a faccia Colui che ora contempliamo velato, e non servirà l’ausilio del Sacramento. Là resterà e sarà soltanto l’adorazione.Aveva visto bene la beata Maria Maddalena dell’Incarnazione che, vissuta nella buriana degli anni successivi alla Rivoluzione Francese, ha additato alla Chiesa l’Eucaristia celebrata e adorata come il luogo verso il quale volgersi e ripartire. Tutto rinascerà da qui, da questo oblò di luce. Adorare è per me purificare ogni giorno lo sguardo dai morsi velenosi di un qualunquismo diffuso, per imparare a guardare la vita nella profondità e nella bellezza delle sue pieghe, anche dolorose. Sì, per me adorare è una scuola quotidiana di bellezza. Oggi, ammalati come siamo un po’ tutti di narcisismo, una preghiera come quella adorante che ti obbliga ad avere come centro Qualcuno che sta fuori di te, sta oltre te, è estremamente educativo.Mi viene in mente la stanza della Segnatura di Raffaello, la cosiddetta Disputa del Santissimo Sacramento. Raffaello aveva pensato la Chiesa come un’architettura di uomini, tanto gli era già chiaro – senza per forza che arrivasse il Concilio Vaticano II – che la Chiesa di Cristo siamo noi, uomini di carne e di sangue, santi di ieri e di oggi. Eppure, dopo aver realizzato questa Chiesa di uomini disposta a corona attorno alla Santissima Trinità, alla Vergine e agli Apostoli, ha sentito il bisogno profetico di consegnare questa schiera a un centro, a un punto focale che tutto raccogliesse e rilanciasse. Così, davvero profeticamente, Raffaello intinse il suo pennello nel colore della luce e realizzò un altare e sull’altare il Santissimo Sacramento esposto e adorato. Che grandi uomini questi artisti! Eppure così uomini, per chi conosce le loro storie, così tormentati dai miseri progetti quotidiani, essi proprio nella loro arte, cioè nella loro aspirazione alla bellezza hanno saputo dire il Vero e il Bene.Ecco, per questo adoro ogni giorno, e più volte al giorno, per accordare ogni istante la mia vita a quel Vero e a quel Bene che mi rendono più donna solo nel momento in cui mi aprono allo stupore del Bello. Adorare insegna anche questo: ci si salva dall’ideologico solo quando s’impara a vivere nello stupore. Lo diceva già il grande Gregorio Nazianzeno: i concetti creano gli idoli, solo lo stupore conosce.
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