Smettere di negare ciò che non si vede
venerdì 16 dicembre 2016

Un celebrato scrittore di casa nostra, arrivato a superare la novantina, ha detto in una recentissima intervista che la morte non gli fa paura. Subito peraltro aggiungendo: «Ma dopo non c’è niente». Affermazione che fa il paio con altre simili rilasciate da un nostro famoso clinico da poco scomparso. In casa della mamma si recitava il rosario, ma un giorno si presentarono Scienza e Ragione, scalzarono la Fede e presero a dominare la vita, la professione, la cultura, l’educazione familiare. Del resto anche un decantato scienziato aveva conosciuto il disincanto religioso. E con lui un ben noto filosofo, una insigne studiosa, un lucido centenario. Tutti sono stati molto ascoltati, riuscendo a disegnare una grande ombra sul prato verde della fede.

Noi assai spesso parliamo di modelli. Sappiamo, per esempio, che modelli siano i grandi campioni dello sport, soprattutto i calciatori, per i più giovani, e stigmatizziamo i comportamenti impropri di alcuni di loro perché, diciamo, sono di cattivo esempio. Ma anche un famoso scrittore è un modello. E un famoso clinico che ha curato migliaia di persone. E il grande fisico, il grande matematico. Modelli che mi domando quanto si rendano conto del buio che diffondono negando la più alta speranza umana, quella che non vede nella morte la fine della vita. Ritorna in mente il concetto largamente espresso da Dostoevskij nei suoi personaggi , in Raskòl’nikov, Kirìllov, Ivàn Karamazov: «Se Dio non esiste, tutto è permesso».

Dove, nel «tutto» sta anche il pensiero dell’inesistenza di Dio, sta il positivismo di Émile Zola, persuaso che la scienza porterà l’uomo a una sorta di onnipotenza, sta il nichilismo europeo da Nietzsche a Heidegger con la conseguente «morte di Dio» e con il divino che sembra sparire dalla Terra anche per ciò che vi accade: le tragiche dittature del secolo scorso, le due guerre mondiali. «Ma Cristo, dove sei?», dice nel film di Monicelli 'La grande guerra', il sergente sotto l’attacco sbaragliante.

E il cappellano: «È qui, qui tra noi. Se ha trentatré anni è dell’84». Né ci sono solo i massacri delle guerre. C’è la sofferenza di tanti esseri indifesi e di tanti bambini, la stessa sofferenza che fa dire a Ivàn Karamazov: «Non che non accetti Dio, ma semplicemente gli restituisco il mio biglietto». E vengono in mente le notti oscure dei santi, da san Giovanni della Croce a santa Teresa di Calcutta, e il 'Tu muto più del cemento' di David Maria Turoldo. Tutto ciò e molto altro ancora si è depositato nell’animo di molti uomini illustri inducendoli a non credere in Dio e a dichiararlo. Ammirevolmente, secondo molti. Una volta certi argomenti venivano considerati personali e non se ne parlava, oggi se ne parla anche non richiesti. Uno non ha la fede e lo vuole dire.

Ma c’è modo e modo. Quando il celebrato scrittore ha detto: «Dopo non c’è niente», ha irriso a milioni di credenti, li ha considerati degli illusi e ha anteposto la propria convinzione a quella di tutti coloro che ne hanno avuta una ben diversa, a partire dai discepoli di Gesù per andare agli apostoli e via via ai grandi scienziati e pensatori, a Copernico, Keplero, Pascal, Newton, Marconi, e poi a Tolstoy, a Manzoni, per non parlare dei grandi spiriti e di tutti i santi, da Francesco ad Agostino fino ai nostri contemporanei. Ma allora cosa dovrebbe dire, da non credente, il celebre scrittore, il famoso clinico, il rinomato matematico quando il discorso va su cosa c’è dopo? Semplicemente che lui, dopo, non vede nulla. Non vede ciò che magari gli piacerebbe vedere e, dunque, non sa cosa ci sia: niente, lui crede, ma la certezza non ce l’ha.

Quando sento una certa radio cattolica che mi dettaglia come dopo la mia dipartita mi troverò subito davanti a Cristo giudice e verrò indirizzato di qua o di là, per crederci mi devo armare di una fede di ferro. Perché posso ben contare sull’esistenza di un’altra vita, ma (visioni private a parte, alle quali la Chiesa non m’impone certo di credere) chi me la può descrivere? Chi è stato di là ed è tornato a parlarmene? Nei Fratelli Karamazov lo starec Zosima dice che ci è stata donata «la segreta, misteriosa sensazione del nostro vivo legame con un altro mondo». Un legame che evidentemente non tutti sentono come non tutti sentono la musica. O la poesia. Un legame che è gratuito negare oltre che offensivo, a me sembra, verso i tanti, i tantissimi che l’hanno stabilito.

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