venerdì 13 settembre 2013
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Anche i suoi più accaniti detrattori avevano sempre accreditato Barack Obama di una grande capacità oratoria, che lo collocava accanto ai maestri dell’ars retorica presidenziale americana. Ebbene, tra le molte vittime della crisi siriana – e della sua pessima gestione da parte della Casa Bianca – dall’altra sera occorre annoverare anche la fin qui diffusa opinione che, ancorché magari non così brillante nell’azione, il presidente restasse comunque insuperabile nella comunicazione.
Se in politica, talvolta, le parole, le argomentazioni possono andare in soccorso – o talvolta sostituire, anticipandoli, i fatti –, nel discorso con cui Obama chiedeva agli americani di sostenere la sua linea di fermezza nei confronti del regime di Assad l’esercizio non è riuscito. Come sarebbe stato possibile, d’altronde, se lo stesso presidente ha concretamente argomentato due tesi diverse e contraddittorie: prima spiegando come sia giunta l’ora di passare all’azione, poi invitando il suo popolo, tramite i propri rappresentanti, a rinviare ogni decisione affinché possa venire esplorata la proposta di mediazione russa... Meglio sarebbe stato annullare semplicemente il messaggio a reti unificate, riconoscendo che le mutate condizioni richiedevano la gravità del silenzio piuttosto che il balbettio della confusione.
La buona notizia, evidentemente, è che il conto alla rovescia per un attacco americano dal cielo contro la Siria si interrompe. La cattiva notizia è che il pasticcio combinato dall’amministrazione Obama ha trasformato oggettivamente Putin nell’uomo del giorno, addirittura nell’araldo della pace: proprio lo stesso Vladimir Putin che rase al suolo Grozny per distruggere insieme alla loro capitale anche il sogno di indipendenza dei ceceni. Paradossalmente, è stato lui a offrire al presidente premio Nobel per la pace un’insperata via d’uscita dal vicolo cieco in cui si era cacciato...
Il risultato è che la Russia torna protagonista in Medio Oriente e nel Mediterraneo dopo quasi un quarto di secolo, mentre la leadership americana nella regione si dimostra sempre più inefficace oltre che evanescente. Ne viene premiata la semplice, brutale linearità della politica di Mosca, completamente orientata a una visione angusta del proprio interesse nazionale e però, proprio per questo, molto semplice da delineare e fare comprendere ad amici e avversari. Gioiamo quindi pure per lo scampato (per adesso) pericolo, ma rammarichiamoci per il fatto che la più brutale (e magistralmente condotta) Realpolitik ha fatto strame di una politica che voleva essere più attenta (anche) ai valori e ai principi, purtroppo pessimamente servita dal trio Obama-Kerry-Rice.
A fare da copione per gli incontri di Ginevra tra l’esperto Lavrov e il volenteroso Kerry è stata la bozza di piano elaborata dalla Russia, che lascerà molto più margine ad Assad (che proprio ieri ha dato la propraia esplicita adesione anche alla Convenzione contro le armi chimiche) per trovare scappatoie e dilazioni nell’implementazione del disarmo. Sarebbe però puerile e incomprensibile che la Casa Bianca (o l’Eliseo) facesse a questo punto marcia indietro. Oramai i giochi sono fatti: il disarmo sarà parziale e tardivo e il tabù dell’uso del gas a scopi bellici sarà rappezzato, ma non ripristinato tale e quale.
Piuttosto che strapparci le vesti, d’altronde, dovremmo cercare di imparare dagli errori e, quel che più conta, provare ad usare il tempo guadagnato per tentare di portare tutte le parti al tavolo di un negoziato generale, capace di porre fine alla guerra civile che dura da oltre due anni. Questo è il vero obiettivo, questa potrebbe essere la via attraverso la quale giungere a un 'bene' attraverso un 'male', arrivare a un successo a partire da un errore.
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