martedì 26 settembre 2023
Una lettrice lamenta di essere esclusa dal sistema nazionale di allerta. Vero e lo abbiamo scritto. Ma la soluzione esiste ed è umana: la solidarietà tra persone
«Senza smartphone IT-Alert mi esclude»...

ANSA

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Gentile direttore,
leggo su Avvenire «si chiama IT-Alert ed è il sistema di allarme pubblico che dirama ai telefoni cellulari presenti in una determinata area geografica… ». Non è esatto quanto riportato nell’articolo del 18 settembre: IT-Alert non è per tutti i cellulari, ma solo per gli smartphone. Io lo smartphone non ce l’ho perché non lo voglio (ho solo un piccolo vecchio e indistruttibile Nokia) e perché preferisco e devo spendere in altro modo la mia modesta pensione. Quindi sopravviverò a qualsiasi catastrofe senza essere avvertita prima perché io non esisto. Ma mi domando con quale diritto lo Stato e le Istituzioni debbano ritenere che tutti siano possessori di smartphone e quindi scaricare sull’utente anche molti lavori che prima facevano impiegati stipendiati? La digitalizzazione in molti casi non è un vantaggio. E ha tolto posti di lavoro facendo passare per una comodità la possibilità di fare tutto da soli da casa. Ma quello che un impiegato addetto poteva fare in due minuti, io da sola, tra spid-pass-puk e che ne so, perdo ore di tempo lavorando gratis. Se lo smartphone viene ritenuto obbligatorio anche dallo Stato, sia lo Stato a darmelo, però non garantisco di avere voglia di portarmi in giro un mattone ingombrante che non sta in una tasca qualsiasi. Ci sarebbe poi il capitolo dei danni sociali, ma questa è un’altra puntata.

Amelia Albertini

Gentile signora Albertini, il direttore mi incarica (in quanto estensore dell’articolo da lei citato) di risponderle. Che il sistema It-Alert abbia falle tecnologiche e crei disparità tra cittadini in base alla loro dotazione tecnologica e non solo, l’abbiamo scritto anche noi. Non a caso invitavano i lettori (sin dal titolo), la prossima volta che il cellulare “strilla” per un allarme a pensare ai vicini più anziani o senza smartphone, andando fisicamente da loro per avvertirli. Ciò che lei scrive, però, va molto oltre. E comprende un suo netto giudizio sul rapporto del digitale nelle nostre vite («non è un vantaggio » scrive). In più (sempre parole sue) toglie lavoro e ci fa perdere tempo. Nessun processo, come ben sa, è esente da difetti. E questo giornale non perde mai di vista i più deboli anche in campo tecnologico. Ma i numeri ci dicono altro, e cioè che per la maggior parte delle persone il digitale è un vantaggio. Un grande vantaggio. Certo, per molti altri le tecnologie sono e restano un ostacolo. La soluzione esiste ed è analogica, umana: che le persone più giovani e più tecnologiche continuino, come spesso fanno già, ad aiutare chi ha più difficoltà ad approcciarle.

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