domenica 3 aprile 2016
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Il caso 'Tempa rossa' e il dovere di chi ci rappresenta Il giovane vicepresidente della Camera dei deputati Luigi Di Maio merita stima. È nato e vive in piena nella nostra 'Terra dei fuochi'. Meglio di tanti altri parlamentari conosce il dramma dell’inquinamento che, come una mannaia, si è abbattuto sulla salute dei cittadini in Campania, in Basilicata, in Puglia e in altre parti del nostro Paese, al Nord come al Sud. Anch’io, dunque, seguo con interesse il suo impegno all’interno delle istituzioni. E so che non è il solo, perché tanti altri hanno lo stesso obiettivo e lo perseguono in forme, in ambiti e in schieramenti politici diversi. Non sempre, però, è facile ritrovarsi d’accordo con le sue esternazioni. Come quando nell’anniversario dell’uccisione del caro don Peppino Diana, scrisse: «Stamattina sono stato a Casal di Principe... Non ho voluto sedere tra le autorità e non ho partecipato al codazzo istituzionale. Troppa ipocrisia... Caro don Peppe , ti hanno ucciso un’altra volta. Non sono stati i camorristi, ma premier, sottosegretari, e ministri...». Quelle parole ci fecero male. Molto, molto male. Dividere a prescindere e inutilmente il fronte antimafia è un regalo ai camorristi. Non è difficile capire l’impazienza e la fretta dei giovani. Purtroppo i problemi – e le eventuali soluzioni – sono sempre più complessi e articolati di quanto possa apparire a prima vista. Di Maio, a proposito del caso 'Tempa rossa', scrive: «Dovete scegliere: cambiare il Paese o cambiare Paese. Non esistono più mezze misure. Nei prossimi giorni i magistrati di Potenza saranno a Roma per ascoltare la ministro Boschi e la Guidi...». Nessuno di noi intende 'cambiare Paese'. Noi combattiamo e diamo il meglio per migliorare il nostro. E sappiamo che per farlo occorre essere attenti, precisi, preparati, trasparenti. Sappiamo che non è un partito a rendere buona o cattiva una persona. Che, per quanto sia importante, la stessa disciplina interna non trasforma un delinquente in un angioletto. Occorre bonificare le coscienze prima di bonificare i terreni. E l’impresa è davvero ardua. Per tutti. La democrazia, pur essendo la migliore forma di governo, ha il suo prezzo da pagare. La storia insegna che quando la gente – stanca di soprusi e corruttele – si lascia andare, è facile che caschi nelle grinfie di qualche dittatore. Improvvisato o meno. Occorre riflessione e pazienza. Buona politica e saggia mediazione. Soprattutto occorre assumere responsabilità di governo e di alta rappresentanza civile con un cuore onesto e intelligente che ami il popolo e mantenga fede alla parola data, e – come 'Avvenire' ha già ricordato – al solenne giuramento fatto. Grazie a Dio il potere nella sua totalità non lo esercita nessuno. Perciò il buon politico va alla ricerca del bene, anche quando è presente altrove e mette al bando gli ipocriti e i disonesti, anche quando ingolfano le stesse fila in cui milita. Per questo motivo, pur condividendo la prima parte del discorso del vicepresidente della Camera, viene difficile accogliere la seconda, che pare propaganda di partito. Forse è da ingenui, ma – soprattutto nei momenti più drammatici – siamo in tanti a sentire il bisogno di guardare agli uomini e alle donne delle istituzioni. Contando di trovarli, nei fatti, al di sopra delle piccole parti. In questi ultimi tempi, per la verità, non accade di frequente. E per i cittadini è doloroso. Il ruolo istituzionale non impedisce di pensare, riflettere, consigliare, emettere giudizi. Occorre però andarci piano quando da uomini e donne delle istituzioni si torna a essere solo 'di partito'. È tutta un’altra cosa.  Di Maio, infatti continua: «Provo vergogna per come hanno ridotto le istituzioni italiane agli occhi del mondo. E penso che ci sia rimasta una sola strada: farli dimettere il prima possibile e poi andare al governo. I cittadini italiani onesti si giocano il tutto per tutto alle prossime elezioni politiche». Ma se davvero «nei prossimi giorni i magistrati di Potenza saranno a Roma per ascoltare la ministro Boschi e la Guidi», non converrebbe avere la pazienza di attendere per cercare di capire meglio quello che c’è da capire? Tutti proviamo vergogna e sofferenza per le ruberie, i tradimenti e le slealtà di colo che hanno potere. Tutti siamo delusi e amareggiati nel vedere come la cosa pubblica – proprietà di tutti – venga gestita da qualcuno come se fosse l’eredità lasciatagli dalla nonna. Sarebbe bello e confortante avere sempre chiaro da quale parte stanno gli imbroglioni (o anche solo gli egoisti) e da quale parte gli onesti. Purtroppo non è possibile. Da sempre ladri e imbroglioni, incapaci e disonesti siedono accanto ai galantuomini e agli onesti. Attendiamo per capire meglio. Senza illusioni. Senza ipocrisie. Senza anticipazioni giustizialiste. Con ansia di giustizia.
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