Caro direttore,
«Come si può pensare che Paesi sviluppati abbiano una disoccupazione giovanile così forte?». Deve far riflettere quanti hanno responsabilità istituzionali, politiche e sociali la severa domanda di papa Francesco espressa qualche giorno fa nei confronti di chi, oggi, continua a sottovalutare il disagio, il senso di sfiducia e di solitudine di milioni di giovani europei, spesso in balia di ideologie sbagliate e pericolose, come ha ricordato lo stesso Santo Padre. Senza un lavoro stabile e dignitoso per i tanti disoccupati non c’è futuro per questa Europa, già dilaniata dai venti nazionalistici e dai populismi striscianti.
Per questo la Cisl predisporrà nelle prossime settimane un vero e proprio 'Manifesto per l’Europa', in vista del vertice di primavera e della ricorrenza dei 60 anni dei Trattati di Roma, per sollecitare un colpo d’ala ai Governi europei capace di riaprire l’orizzonte dell’integrazione economica e politica, prima che sia troppo tardi. Non possiamo accettare questa logica degli 'ultimatum' all’Italia da parte della Commissione Europea con la richiesta di ulteriori manovre 'correttive'. Dove ci porterà tutto questo? Lo abbiamo ribadito martedì al Presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani: l’Europa deve tornare ad essere un decisivo vettore di sviluppo economico, di coesione e di giustizia sociale.
Oggi quell’utopia concreta, di straordinaria lungimiranza, è ancor più attuale poiché è impensabile credere di poter affrontare le dinamiche mondiali interdipendenti di un’economia dominata dalla finanza deregolata e globale con la strumentazione impotente degli Stati nazionali. Sono state estremamente rigide in questo ultimo decennio le modalità attraverso le quali la politica europea ha gestito il processo di integrazione: una moneta senza Sovrano; l’austerità fiscale che ha aggravato crisi e recessioni; l’interdizione di ogni forma di Eurobond garantiti pro quota dagli Stati nazionali; una schizofrenia tra politica fiscale restrittiva e politica monetaria ultraespansiva della Bce nel tentativo di compensarne gli effetti con la sola leva monetaria; la stagnazione degli investimenti pubblici e del loro potenziale di traino degli investimenti privati; i risultati modestissimi del Piano Junker; alti e persistenti livelli di disoccupazione, soprattutto giovanile e di sofferenza sociale diffusa; governance affidata all’estenuante ricerca di compromessi tra interessi nazionali, sulla base dei rapporti di forza, anziché far valere un realistico bene comune europeo.
L’onda crescente dei nazionalpopulismi è figlia legittima non dell’idea originaria di Europa, oggi più strategica che mai, ma di una politica europea miope, quasi ottusa che ha preteso di governare con la centralità dei baricentri nazionali. Ecco perché noi ci aspettiamo che il Governo Gentiloni possa continuare il suo cammino istituzionale, portando una posizione chiara e forte al prossimo vertice di Roma, sostenuta anche dalle parti sociali. Bisogna battersi per eliminare quei paletti rigidi a livello europeo che frenano oggi la crescita e gli investimenti pubblici in infrastrutture materiali e immateriali, politiche attive del lavoro, innovazione, ricerca, formazione, insieme alla garanzia degli interventi straordinari per la ricostruzione delle aree terremotate, la messa in sicurezza del patrimonio urbanistico e culturale, l’accoglienza dei profughi.
Per fare questo occorre completare l’Unione economica e cioè 1) avviare l’Unione fiscale; 2) creare un ministro del Tesoro europeo che risponda al Parlamento; 3) passare dal Fiscal Compact all’Investment Compact; 4) avviare una politica di sicurezza e di difesa europea; 5) costruire un Fondo europeo integrativo dei sussidi di disoccupazione nazionali quando il tasso di disoccupazione di un Paese membro supera la media del tasso di disoccupazione europeo; 6) dare vita a un Fondo europeo di sostegno all’occupazione giovanile.
La Brexit, la vittoria di Trump, il ritorno dei protezionismi e di scenari geopolitici che speravamo definitivamente consegnati ai drammatici archivi della storia, non lasciano dubbi sulla necessità della svolta europea. I lavoratori, le loro conquiste, i diritti, le tutele, il welfare subirebbero gli effetti devastanti del ritorno alle monete nazionali, alle barriere doganali e valutarie, alle svalutazioni competitive, all’inflazione galoppante, a un debito pubblico, in assenza dell’Euro e del quantitative easing della Bce. E sarebbe condannata al default. Per queste ragioni, nell’interesse delle persone e del lavoro, la Cisl sarà in prima linea insieme al sindacato europeo nei prossimi mesi che saranno decisivi nella battaglia per l’Europa economica e politica unita.
*Segretaria generale della Cisl