domenica 6 maggio 2012
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Nel caos delle parole che cercano di definire la nostra epoca complessa, alcune stanno emergendo come àncore cui aggrapparsi, finestre dalle quali far entrare un po’ di luce su tempi che paiono sempre più cupi. Una di queste è certamente alleanza . Una parola-speranza, che esprime il bisogno di superare modelli rivelatisi inadeguati quando non nefasti, come quello dell’individualismo estremo di cui ancora tardiamo a riconoscere pienamente il fallimento; e, nello stesso tempo, la consapevolezza che non si può tornare indietro, che le mutate condizioni richiedono nuove capacità di immaginazione relazionale e sociale. In un mondo sociale e politico in cui molto (quasi tutto) sembra sfarinarsi, è di pochi giorni fa la notizia della nascita di un altro movimento politico nazionale, che contiene nella sua denominazione questa parola 'nuova'. L’elemento positivo è il riconoscimento della necessità di ritessere il legame sociale su nuove basi. Parlare di alleanza significa auspicare un modo dell’associarsi che riconosca il carattere relazionale dell’essere umano, contro quella che Alain Caillé, nel suo recente manifesto per un convivialismo, definisce «l’idiozia dell’individualismo», nel senso etimologico: il suo porsi fuori dal legame. Ma il rischio è che l’autoreferenzialità annichilisca anche i tentativi animati dalle migliori intenzioni. Alleanza è una parola preziosa, che non va bruciata sull’altare delle mode lessicali di stagioni sempre più brevi, col rischio di ridurla a una della tante voci di quella 'neolingua' di orwelliana memoria, costruita apposta per esonerare il pensiero dall’esercizio delle sue facoltà. E un modo fondamentale è evitare la decontestualizzazione. Troppi sono ormai i casi di parole impregnate di storia, di speranze, di sofferenze, che sono state usate come bandiere­slogan, svuotate e strumentalizzate: da 'popolo' e 'popolare', a 'democrazia', alla stessa 'libertà'. Lanciate e sfruttate nell’arena mediatica, dove la seduzione (nel senso etimologico di «portare dalla propria parte», non importa in che modo) ha sostituito la comunicazione, la ricerca compartecipata di significati per il bene comune. L’alleanza non è un contratto a tempo determinato, che tutela una serie di interessi, finalizzato a un obiettivo specifico. È piuttosto un legame ( al-ligare, etimologicamente) che istituisce insieme una reciprocità e un vincolo, e costruisce uno spazio per la costruzione e lo scambio di beni comuni e di doni. Solo accettando questo legame – che è anche un limite benefico all’espansione illimitata e distruttiva dell’io – e la disponibilità alla gratuità, l’alleanza diventa possibile. Il vincolo comporta un sacrificio: la capacità di rinunciare a qualcosa (di sé) in nome di un bene più grande (comune). Un’altra parola screditata, distorta ideologicamente e trasformata in sinonimo di mortificazione masochistica. Ma la cultura mainstream, che disprezza il sacrificio radicato in un senso, continua a proporre sacrifici insensati. Perché quindi il termine alleanza non diventi lo strato di vernice fresca stesa su forme più raffinate di individualismo, è importante rispettare la sua storia, oltre che il suo significato originario. Una storia che si radica nelle scritture, che passa da Adamo a Noé ad Abramo a Mosé e arriva a Gesù Cristo; che ha i suoi simboli (l’arcobaleno, la croce) e soprattutto dice di un legame reciproco e asimmetrico di cui è il debole a beneficiare soprattutto; un legame che istituisce relazioni orizzontali affidabili perché si fonda su un legame verticale non scelto né costruito, ma offerto e ricevuto in dono. Questo non è il tentativo di rivendicare un possesso, di piantare una bandiera su un territorio concettuale che potrebbe rivelarsi fecondo, prima che lo facciano altri: al contrario è l’offerta, in un dibattito pubblico in cui tutto viene macinato e reso inefficace, di una risorsa simbolica che tuteli un concetto programmatico dagli usi e dagli abusi che ne neutralizzerebbero le potenzialità. Un’offerta fatta a tutti, cattolici e non, a partire da ciò che la tradizione giudaico-cristiana custodisce, ma che mette a disposizione come bene comune, potenziale fonte di libertà per tutti, o almeno di sottrazione al regime delle equivalenze che neutralizza ogni movimento costruttivo, svuotandone il senso. Questo radicamento del termine 'alleanza' è una risorsa che i credenti possono portare nel dibattito pubblico per impedirne la banalizzazione, lo sfruttamento strumentale, la distorsione ideologica. Sapendo che non tutto può, né quindi deve, essere 'disponibile'. E che ciò che non è a nostra disposizione è proprio ciò che, paradossalmente, può renderci liberi e impedirci di annientarci a vicenda.
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