domenica 15 maggio 2016
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Gli italiani appassionati di politica – e pare ce ne siano ancora, nonostante decenni di cocenti delusioni – dovrebbero essere ormai abbastanza assuefatti ai sommovimenti interni al Movimento 5 Stelle. Gli stessi sostenitori della galassia grillina sembrano in buona misura aver imparato a convivere con le polemiche che ciclicamente la investono come tempeste solari. Si limitano per lo più a discuterne animatamente sulla rete, anche se dosando con una certa significativa cautela le manifestazioni di aperto dissenso dai vertici. Ma è vero che il caso Parma-Pizzarotti ha una particolarità in più, in qualche modo una portata simbolica. Il sindaco emiliano è infatti da un lato il primo esponente del M5S ad aver conquistato nel 2012 una città importante, lanciando la volata per il successo elettorale nazionale dell’anno successivo. Al tempo stesso, proprio con lui si è aperta la lunga teoria dei dissensi tra “direttorio” e territorio, che ora sembra a un passo dalla resa dei conti finale. Potrà così venire meglio alla luce un aspetto di solito poco rilevato nelle analisi sul M5S: l’incapacità, si direbbe quasi genetica o strutturale, nonostante la filosofia “uno vale uno”, di assorbire la conflittualità interna, di gestire la dialettica tra le varie tendenze – ma anche fra le diverse “scuderie” che si sono formate in questi anni di presenza sulla scena, per esempio su base geografica – senza che queste sfocino inevitabilmente in rotture, abbandoni, emarginazioni o cacciate a furor di web. Non si tratta certo di una maledizione del Cielo e neppure di un’esclusiva pentastellata. Anche altre formazioni e cartelli politici, partoriti dalla (o provocati per reazione alla) cosiddetta Seconda Repubblica, si sono spesso evoluti in questo scorcio iniziale del terzo millennio attraverso scissioni, ricomposizioni, vere e proprie partenogenesi. Lo stesso Partito democratico oggi dominante ha dovuto registrare fuoriuscite abbastanza vistose e ora è “sospettato”, proprio dalla sua sempre irrequieta minoranza interna, di voler imbarcare in maniera surrettizia esponenti ex berlusconiani. Con il tramonto dei partiti tradizionali e della Prima Repubblica sembra, dunque, essersi definitivamente eclissato anche quel parziale “metodo democratico” che nella loro vita interna, e pur nell’eccesso di crisi governative spesso provocate anche da incomprensibili giochi di corrente, garantiva in certa misura la stabilità delle stesse istituzioni. Non è ovviamente il caso di esprimere rimpianti o fondare paragoni impropri, ma ci si può almeno domandare in che modo al tempo della Rete e dell’antipolitica possa essere rianimato o sostituito quel metodo – espressamente richiamato dall’articolo 49 della Costituzione – che, mediante il dibattito e il confronto interno nelle sezioni e poi negli organismi rappresentativi locali e nazionali aiutava a metabolizzare i contrasti e favoriva spesso ricuciture e accordi. Di sicuro la tendenza a una sempre più decisa personalizzazione delle leadership, con l’impulso a fare blocco e a limitare al massimo i dissensi, non favorisce il compito. L’avvento del “partito del capo” introduce quasi una nuova e diversa variante di “centralismo democratico”, quello che ai tempi del vecchio Partito comunista reprimeva ogni espressione di dissenso organizzato, bollandolo come “frazionismo” o, peggio ancora, come “intendenza col nemico”. Lo stesso ora sembra avvenire con le nuove formazioni come i Cinquestelle, nate all’insegna della “cyberdemocracy” ma al dunque incapaci di gestirla senza far scorrere sangue, sia pure virtuale. C’è quasi una nemesi paradossale in questa parabola che si disegna sotto i nostri occhi. Il ricorso alla Rete doveva in origine garantire un’espansione del diritto ad esprimersi liberamente e a far valere in concreto il tanto sbandierato principio di piena cittadinanza. E invece, tra un ostracismo e l’altro, rischiano di prevalere i vecchi idola fori condannati da sir Francis Bacon, quelli nei quali le parole vuote spese sulla piazza, oggi anche informatica, impediscono di osservare e comprendere davvero la realtà. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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