mercoledì 21 settembre 2016
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Quindi la pace nasce dalla conoscenza e dalla collaborazione reciproca. Ieri ad Assisi si è visto bene. E non si è compiuto un miracolo, né una commemorazione, ma quello che fa premio per ciascuno: l’apertura vicendevole, il dialogo, la capacità di incontrarsi e mettersi insieme. Non è retorica. Di fronte ai deserti dell’orgoglio e degli interessi di parte, all’inquinamento dell’indifferenza, ai fondamentalismi e al fanatismo che arriva a usare i mezzi del terrore, l’unica ragione pratica da percorrere è dialogare e pregare perché scatti una scintilla nel cuore dell’uomo.

«Niente è perduto con il dialogo. Tutto è possibile con la pace», è quanto si è fatto reale ad Assisi. Perché la guerra è tra il mondo e quelli che vogliono "accelerare" la fine del mondo, senza trascurare i fatturati da incrementare col traffico d’armi. Papa Francesco ha voluto ancora una volta mostrare al mondo che una via di scampo per uscire dalla spirale dell’auto-annientamento messa in moto dalle agenzie economiche del terrore si può cercare solo insieme, e non contro gli altri. E che le religioni sono una risorsa, fonte di pace. Andando insieme contromano rispetto a tutte le strategie miranti a intimidire, umiliare e isolare in maniera indiscriminata anche la moltitudine orante dell’islam.

«Papa Francesco – ha detto domenica ad Assisi Mohammad Sammak, consigliere politico del Gran Muftì del Libano – si è proposto come leader spirituale per tutta l’umanità quando ha detto che non c’è nessuna religione criminale, ma ci sono criminali in tutte le religioni». Il passo in più è la reale collaborazione e responsabilità di ciascuno. «I credenti siano artigiani di pace nell’invocazione a Dio e nell’azione per l’uomo. Noi come capi religiosi siamo tenuti a essere solidi ponti di dialogo, mediatori creativi di pace», ha detto Francesco nel discorso conclusivo dell’incontro interreligioso, esortando ad affrontare anche la grande malattia del nostro tempo: l’indifferenza.

Che non ha esitato a definire – è la prima volta che ne parla così – «il nuovo paganesimo. Tristissimo». A questa si oppone la pace autentica declinata nella sua quadruplice, inedita accezione di perdono, accoglienza, collaborazione ed educazione: «Una chiamata a imparare ogni giorno la difficile arte della comunione, ad acquisire la cultura dell’incontro, purificando la coscienza da ogni tentazione di violenza e di irrigidimento, contrarie al nome di Dio e alla dignità dell’uomo».

Che non si tratti di parole lo hanno di nuovo dimostrato due uomini così diversi come papa Francesco e il patriarca Bartolomeo che ieri si sono ritrovati nuovamente insieme nel cammino dell’unità. Il successore di Pietro e il successore di Andrea hanno come vocazione quella di ricomporre col filo del perdono le Chiese, così che diventino per grazia la tunica «senza cuciture» di Gesù descritta dal Vangelo di Giovanni. E stanno obbedendo a quel comando.

Ma il loro impegno di unità non può più essere visto da una politica spesso totalmente analfabeta del religioso come un’eccezione capace – se mai – solo di impennate profetiche. È vero proprio il contrario. Se il nome di Dio, strumentalizzato da criminali nelle più irrefrenabili violenze, viene invece usato per fare perdono e unità, allora ogni ricucitura è possibile.

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