Radicalissima è questa crisi
venerdì 21 ottobre 2022

C’è un passaggio rivelatore nello scarno discorso d’addio di Liz Truss, che lascia Downing Street dopo soltanto 45 giorni, diventando il premier britannico rimasto in carica per meno tempo, inferiore persino a quello trascorso al potere da George Canning, morto nel 1827 dopo 4 mesi dall’elezione. La terza donna alla guida del Paese ha detto ieri di aver voluto puntare su un progetto di tasse sforbiciate e forte crescita economica che avrebbe dovuto avvantaggiarsi delle 'libertà della Brexit'. A sei anni dal referendum che ha sancito l’uscita di Londra dall’Unione Europea, persiste l’illusione che quel distacco sia sinonimo di meno vincoli e di maggiore prosperità, ma l’ingloriosa fine del governo Truss dimostra che i calcoli – letteralmente – sono stati sbagliati.

E non di poco. La bellicosa erede di Boris Johnson, arrivata al timone dopo gli anni turbolenti del suo predecessore, ha pagato un piano di bilancio che comprendeva tagli fiscali per 45 miliardi di sterline a vantaggio dei redditi più alti, finanziati a debito, che ha spaventato le Borse – di solito vicine ai conservatori – e provocato un forte calo della sterlina, ridotta a moneta debole.

La prima ministra è stata così obbligata a fare marcia indietro sulla riduzione dell’aliquota massima, mentre gli scossoni sui mercati costringevano la Banca d’Inghilterra a intervenire per sostenere i titoli di Stato. Non è bastato sacrificare il cancelliere dello scacchiare, Kwasi Kwarteng, troppo sicuro della sua ricetta liberista sganciata dalla realtà dell’economia nazionale, ben meno florida di quanto qualcuno continui a immaginare al di qua della Manica.

L’intero programma per un intervento choc sulle finanze è crollato insieme all’appoggio del suo partito. Che adesso si trova a dovere scegliere in una settimana un nuovo capo dell’esecutivo.

Johnson è alla finestra per un improbabile bis, mentre rimangono tra i favoriti, a caccia di almeno 100 voti dei deputati tories per candidarsi, i quarantenni Rishi Sunak, già ministro in carriera, sconfitto nel ballottaggio da Truss, e Penny Mordaunt, attuale leader della Camera dei Comuni. Se lunedì ci sarà più di un pretendente, entro venerdì decideranno online gli iscritti al partito.

I conservatori che si apprestano a scegliere il terzo premier in un anno, record negativo per Londra, si presentano spaccati e logorati, molto indietro nei sondaggi rispetto ai laburisti di Keir Starmer, trovatisi con i favori popolari senza avere fatto mosse degne di nota. Ora chiedono elezioni per invertire la rotta politica, insieme ai liberaldemocratici, alla prima ministra scozzese Sturgeon e al primo ministro gallese Drakeford, tentati dall’indipendentismo. Non sembra però che l’attuale maggioranza sia disposta ad andare alle urne, dalle quali uscirebbe fortemente ridimensionata.

D’altra parte, non può sbagliare ancora i conti, come si diceva. Il paragone con la solita Italia degli stereotipi, spaghetti (che una famigerata copertina tedesca dello Spiegel abbinava alla pistola della criminalità) ed esecutivi brevi con porte girevoli a Palazzo Chigi (ultima trovata del per lo più compassato Economist), stavolta premia il nostro Paese, saldamente in area euro.

L’ingovernabilità, parola sconosciuta alla corte di re Carlo, chiamato alla sua prima nomina, ha contagiato anche la Gran Bretagna. Gli scandali delle feste private di Johnson e la mala gestione della pandemia si sommano oggi a un’economia che arranca e soffre per le conseguenze dell’uscita dalla Ue, in termini di esportazioni e di perdita di cervelli. Avventure radicalissime come quelle ipotizzate da Truss non sono più sostenibili né dal punto di vista finanziario né da quello sociale. È interesse di tutti che da Westminster esca un leader finalmente saggio e cooperativo nei tempi drammatici che il mondo sta vivendo.

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