venerdì 11 giugno 2010
COMMENTA E CONDIVIDI
Un Mondiale di calcio. In Africa. Il circo dello sport-business più ricco del mondo paracadutato in una delle terre più derelitte del pianeta. Sembrava follia, ora è realtà. Quando oggi pomeriggio a Johannesburg verrà fischiato il calcio d’avvio di Sudafrica-Messico, un Paese e un continente intero si renderanno conto che non sono chiamati a vincere una Coppa che sanno benissimo di non poter vincere, ma di giocare per un trofeo più importante. Quello dell’orgoglio, della credibilità di fronte al mondo, e della speranza. Termini che questa volta almeno, contengono più senso che retorica.Dopo il primo presidente americano, ecco anche il primo mondiale “nero”: e la portata storica non è troppo distante. Inutile però scomodare concetti troppo lontani per essere veri: una pallone non sconfigge il razzismo, l’Aids, la miseria e la delinquenza. Non lo ha mai fatto, né si illude di poterlo fare. Ma spesso porta messaggi positivi, belle storie, umanità diversa.Per tutto il resto il pallone dei grandi dovrà solo imparare. Specie nella terra di un uomo che, comunque vada a finire in campo, del Mondiale è il protagonista assoluto. Nelson Mandela lo ha già vinto senza giocarlo: non serviranno nemmeno quei pochi minuti di presenza fisica promessi oggi in tribuna per decretare che il gol più grande è il suo.L’eterno “Madiba”, che ha anche trascorsi calcistici come dirigente di una squadra nella colonia penale di Robben Island, dove ha trascorso 27 stagioni della propria vita combattendo il pressing sporco dell’apartheid, a 92 anni vede coronarsi un altro sogno. In quel carcere, lui e i suoi seguaci usarono il pallone come strumento di resistenza passiva: il calcio divenne l’emblema della passione dei neri da contrapporre al più nobile rugby, appannaggio e divertimento solo dei bianchi. Per questo non è esagerato dire che il Sudafrica com’è oggi non esisterebbe senza il calcio. E ora il Mondiale sulla terra sudafricana, ricca e stracciata, sanguinante e profonda, diventa l’ideale, incredibile proseguimento di quelle partite polverose nell’ora d’aria.Qualsiasi chiave di lettura di Sudafrica 2010 che prescinda dal significato dirompente di una Coppa che sbarca in Africa con il suo corredo di speranze, storie, personaggi e colori, corre il rischio di risultare falsata. Il calcio resta un enorme collettore di valori, e soprattutto è un vero linguaggio universale: da oggi per un mese intero si guarderà al Continente Nero, e non per carestie o guerre, che pure non evaporano, ma per vedere che può esistere altro, anche in situazioni improbabili e violente.In questi casi si dice che il grande evento migliora la qualità della vita di tutto un popolo. Perché porta ricchezza, infrastrutture, investimenti.  A conti fatti spesso il bilancio finale non è così idilliaco. Ma se a un successo organizzativo del Sudafrica, francamente difficile da ottenere, si aggiungesse quello tecnico, il messaggio sarebbe perfetto e compiuto: la prima volta dell’Africa in tutti i sensi. Sono sei le squadre presenti (Sudafrica, Ghana, Costa D’Avorio, Algeria, Camerun e Nigeria) tra le 32 finaliste, un record. Assolutamente improbabile che ce la facciano i “Bafana Bafana” di casa. Contro l’Italia campione del mondo che prova senza apparenti grandi possibilità a difendere il titolo, le favorite oltre al solito Brasile sono Argentina, Inghilterra e Spagna. Il vecchio mondo del pallone, insomma. Ma è un dato di fatto che nella storia del calcio finora solo il Brasile abbia vinto un Mondiale in un continente diverso dal proprio. Via allora: grandi stadi, gol, sfide. E un popolo sullo sfondo che vuole vivere e farsi ammirare dal mondo. Senza illusioni, sia chiaro. Perché il Sudafrica, dove un terzo della popolazione vive senza energia elettrica, il Mondiale non lo vedrà nemmeno in televisione. Lo annuserà per strada, a piedi scalzi. Suonando trombe fastidiose, sventolando bandiere che magari nemmeno sa a chi appartengono. Sarà un popolo in festa, ma spettatore a casa propria. E questo, tra tifo e euforia, occorrerà non dimenticarlo.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: