Questa terra di missionari
martedì 27 aprile 2021

Mi sarebbe piaciuto che parlando della suora laica uccisa in Perù i giornali che dicono "italiana" aggiungessero "e naturalmente veneta". E mi sarebbe piaciuto che parlando del vescovo del Sud Sudan, monsignor Carlassare, sparato alle gambe da aggressori armati di kalashnikov, invece che solo italiano lo chiamassero anche veneto. Voglio dire che c’è un rapporto tra la veneticità dell’origine e il lavoro di missionariato in giro per il mondo, a rischio della vita. Il Veneto è una grande fonte di missionari. Ha sempre avuto una vocazione per il volontariato. È un’attività di cui ci accorgiamo nei periodi di crisi o di tragedia: noi italiani non sapevamo delle numerose attività di volontariato nella vicina Jugoslavia, le scoprimmo quando in Jugoslavia scoppiò la guerra civile, e le piccole e fragili sedi di queste attività furono travolte. Erano tutte, o quasi, venete, emanazione dei centri missionari che nel Veneto son numerosi. Il Veneto è noto in Italia per il suo cattolicesimo, e per questo non è sempre apprezzato, perché troppi credono che si tratti di un cattolicesimo di sacrestia, e non sanno invece quanto sia collegato allo spirito di viaggio, di esplorazione, di istruzione, per cui i missionari veneti sono amati e apprezzati là dove vanno, nei Paesi poveri, nel cosiddetto Terzo Mondo. Ho incontrato uno di questi missionari, un salesiano, che l’Italia conosce perché è il traduttore di Tagore, e che in India faceva il maestro elementare: la sua scuola era molto contesa, le madri indiane facevano a gara per iscrivere i loro figli lì, perché lì i figli imparavano, bene e gratis, cose fondamentali per la vita, come la matematica e l’inglese, e poi perché lì mangiavano due volte al giorno.

Perciò le madri volevano iscrivere i figli alla prima elementare quando non avevano ancora 6 anni. I missionari veneti avevano scoperto un sistema per scoprire l’età dei piccoli: li invitavano a sollevare il braccio destro, scavalcare la testa e toccarsi l’orecchio sinistro, se ci arrivavano avevano 6 anni, se no, no. Davanti all’aula dove si svolgeva questo esame, le madri tiravano le braccia dei figli, per allungarle di qualche centimetro.

Ho conosciuto un missionario comboniano che aveva lavorato tutta la vita a fare il muratore, costruendo scuole e ospedali in Africa da Nord a Sud, dal Cairo a Città del Capo, e diventato vecchio e incapace di lavorare tornava nel Veneto a morire. In quel momento uno dei giornali per cui ho scritto, 'La Stampa', mi chiedeva un racconto su una vita spesa bene. Andai a intervistare questo comboniano e mandai il testo al giornale: «Ecco una vita spesa bene». Vedendoli da vicino, mi domandavo quanto influiva il loro essere veneti col loro fare i missionari. Me lo domando anche adesso, per questa suora laica di Schio e per questo vescovo di Piovene Rocchette. Stavo per scrivere di Vicenza, ma è più esatto scrivere Schio e Piovene Rocchette. Sono nati e cresciuti in piccoli paesi o piccole città, dove la chiesa è tutto, o comunque è molto. Qui dei Gradi dello Spirito, come li chiamava Hegel e dopo di lui Croce, pensano che il più importante non sia la Filosofia, l’Arte, la Scienza o l’Economia, ma la Bontà, fare il Bene.

Quando il Veneto era povero (anzi miserabile), le donne venete andavano in giro per l’Italia a fare le domestiche. Negli spot di Carosello le domestiche di tutta Italia parlavano veneto. Erano lo zimbello d’Italia. Erano pazienti, risparmiose, servizievoli, adatte a vivere in condizioni disagiate, a curare le malattie o le infermità. Questa suora laica di Schio aveva scelto di andare in Perù, e di vivere in umile spirito di servizio ad alta quota. Tra i più poveri e dove manca tutto, perfino l’ossigeno. Nelle fotografie sorride, come se avesse quello di cui ha bisogno. Sì, c’è una prosecuzione tra la vita nella campagna veneta e la vita nella missione peruviana o sudanese. Mi sarebbe piaciuto che tutti la notassero.

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